Articolo di Lilia De Felice
In scena dal 12 al 23 gennaio al Teatro Argentina di Roma, Piazza degli Eroi, per la regia di Roberto Andò, attraverso una provocazione promuove una riflessione sul presente e sul passato. Tratto dal testo di Thomas Bernhard, lo spettacolo affronta argomenti di incredibile attualità seppur inerenti a un’altra epoca storica: quella dell’Anschluss annunciata dalla Germania di Hitler. Le conseguenze di quegli avvenimenti tragici determinarono i tumulti successivi.
Colpisce, sin dall’apertura del sipario, una distesa di scarpe, potente testimonianza di un passato le cui ferite sono ancora troppo recenti per dirsi sanate. La deportazione del popolo ebraico nei campi di concentramento è stata anche la storia di oggetti sottratti, benché inanimati, capaci di testimoniare vite negate. Non solo le scarpe del Professor Schuster, che la signora Zittel e Herta diligentemente puliscono durante il primo atto ma l’intera rappresentazione obbliga lo spettatore a esercizi di memoria e collegamenti simbolici che attingono dall’inconscio collettivo.
Durante il secondo atto, il testo di Thomas Bernhard mostra una previsione del futuro portata in scena attraverso la voce di Renato Carpentieri nei panni di Robert Schuster.
A simboleggiare i sacrifici compiuti e le vite spezzate al tempo, numerose foglie si adagiano sul pavimento echeggiando nei racconti di uno zio alle proprie nipoti, Anna e Olga Schuster.
Le sagge e dure parole di Bernhard sono rivolte al governo austriaco a lui contemporaneo che, a conferma dei livori, dopo il decesso dell’autore ne vietò la pubblicazione dei testi e la loro messa in scena. Ancora oggi, tale provocazione, suscita nel pubblico in sala stretti sorrisi e moderate risate: le parole nascondono un fondo di verità chiara e inequivocabile.
La regia di Roberto Andò orchestra questo quadro generale in cui si muovono gli attori. Per tutta la durata dello spettacolo è in scena, con una presenza inizialmente inquietante che si fa eterea, il pianista Vincenzo Pasquariello, possibile incarnazione del defunto professor Schuster, che a destra del palcoscenico suona grevi o nostalgiche melodie.
Due sono i momenti salienti di Piazza degli eroi: il monologo di Renato Carpentieri nel secondo atto, incentrato sulle memorie di guerra, troppo spesso finite per essere dimenticate, in cui il personaggio e interprete sembrano confondersi fino a fondersi in un unico pensiero. Si sottolinea soprattutto lo stato emotivo umano e inevitabilmente traumatizzato che tormenta i sopravvissuti alla catastrofe: le paure, il disagio, la vergogna, i perché a cui non giungono risposte.
Le parole si trasformano negli occhi inermi di un anziano signore che osserva la società che muta e si evolve, immobile e impassibile davanti ai ricordi tormentati di un’epoca che appare già lontana.
Al termine dello spettacolo, Betti Pedrazzi, la Vedova Schuster, seduta al centro di una tavola imbandita, lancia un grido di sofferenza: l’ascolto delle grida di Piazza degli Eroi, il tumulto di ricordi e pensieri si affollano nella sua mente, in un rigurgitare disperato, in una vana richiesta d’aiuto che lascia spettatori e attori immobili a dialogare e combattere con i propri pensieri. Così, si chiude il sipario lasciando posto agli applausi e alle memorie che verranno ancora una volta nascoste fino a quando qualcosa o qualcuno non le riporterà in superfice.
Piazza degli Eroi
di Thomas Bernhard traduzione Roberto Menin regia Roberto Andò con Renato Carpentieri, Imma Villa, Betti Pedrazzi, Silvia Ajelli, Paolo Cresta, Francesca Cutolo, Stefano Jotti, Valeria Luchetti, Vincenzo Pasquariello, Enzo Salomone costumi Daniela Cernigliaro aiuto regia Luca Bargagna