Quanto saremo disposti a fare per le persone a noi più care se, all’improvviso, una mattina, smettessero di poterci aiutare, sostenere, consigliare?
Per quanto ancora riusciremmo ad amarle se con loro non potessimo più comunicare, non le capissimo, se provocassero disagio, esclusione sociale, difficoltà economica?
Se non potessero ringraziarci, se puzzassero, fossero lerci, provocassero paura oltre che disgusto, se non sapessimo più riconoscerle in quella loro trasformazione?
E se capissimo che la nostra vita sarebbe più facile senza di loro?
A porci queste domande uno spettacolo di Giorgio Barberio Corsetti che porta in scena il testo, sempre toccante, di Kafka: La metamorfosi. L’adattamento, rappresentato al Teatro Argentina di Roma dal 5 al 27 febbraio, non si discosta dalle intenzioni dello scrittore: farci riflettere sulle conseguenze delle pressioni sociali, quanto possono trasformare un individuo e come questi cambiamenti vengono affrontati in casa.
Dalla sala si leva un canto melanconico, prodotto dagli attori che dalla platea salgono insieme sul palco. Paiono anime sperdute, quelle che cantano, anime che accompagneranno il racconto di questa devastante storia e aiuteranno a innescare il paragone sociale che lo stesso Kafka desiderava far arrivare.
Siamo nella cupa stanza di Gregor Samsa – protagonista del racconto originale – che si sveglia in ritardo per il suo massacrante lavoro, quello che gli permette di mantenere la sua famiglia apparentemente incapace di farlo da sola.
La stanza è rappresentata come uno scorcio da una struttura con due pareti poste in assonometria isometrica: una finestra da una lato, un quadro dall’altro, dal quale si affaccia un’attrice come a rappresentare il dipinto. Sul letto centrale Gregor, che aprendo gli occhi, si riscopre trasformato.
Assurdo. Finché punto così assurdo? Un giovane schiacciato dal peso della pressione sociale, dai trattamenti inumani che subisce a lavoro, dal poco riconoscimento avuto in casa, dato per scontato, trattato come uno scarafaggio, è così strano si trasformi in tale?
La scenografia, con l’ingresso in scena di altri personaggi, inizia a ruotare. Ecco la presentazione di un altro ambiente: la parete destra della camera di Gregor si riscopre essere anche quella della sala da pranzo, con dipinta sopra la scritta “Mondo”. Parola in opposizione a quella che comparirà nella sua stanza, sotto la carta da parati da lui graffiata via: “Immondo”.
Il mondo del nostro protagonista non lo accetta, ogni volta che lui cerca di oltrepassare la soglia viene ferito e scacciato. La sua stessa famiglia è sul ciglio della sua tana, incapace di gestire la situazione e di amarlo senza condizioni: un figlio deve essere bravo per essere amato dai genitori? Deve dimostrare di meritare quell’amore?
Ad aiutarlo ci hanno pure provato, soprattutto la sorella, quasi orgogliosa di avere finalmente un ruolo, quello di occuparsi di lui. Ma da cosa veramente erano mossi, dall’amore che provavano oppure dall’esigenza di fare la cosa giusta agli occhi degli altri? Da un’etica superiore che li obbligava?
«Non potranno dire che non ci abbiamo provato», dice per l’appunto la stessa sorella quando, stanca del fratello, propone la sua esclusione, motivando che ormai dentro quell’animale non c’era più nessuno: era solo una bestia. Lo dice mentre la bestia è ancora innamorata della musica della sorella e duole del non poterle pagare il conservatorio come si era promesso un tempo.
La rappresentazione straziante si colora di tratti comici grazie allo stratagemma registico: gli attori parlano in terza persona facendo prendere vita al libro di Kafka in tutti i sensi. Sicuramente una grande prova attoriale per tutti, soprattuto per Michelangelo Dalisi che interpreta lo scarafaggio senza particolari costumi: usa il suo corpo, la postura, piccoli atteggiamenti, si arrampica sui muri sollevato da un cavo. Come quando si ferma sopra il suo dipinto per evitare che glielo portino via, per proteggere l’ultimo oggetto che lo legava alla sua vita precedente la metamorfosi.
Solo una bestia, così è considerato il povero Gregor, mentre il suo unico errore era stato quello di amarli troppo. Amava così tanto la sua famiglia da decidere di lasciarsi morire, di non mangiare più.
Lo spettacolo si chiude con la famiglia sollevata dalla morte di Gregor, nella stanza da loro trasformata in discarica. Sollevata, nonostante si fosse resa conto della magrezza del suo corpo, leso più volte dalle loro percosse. Dunque, chi è veramente la bestia?
La metamorfosi
di Franz Kafka Mondadori Libri, traduzione di Ervino Pocar adattamento e regia Giorgio Barberio Corsetti con Michelangelo Dalisi, Roberto Rustioni, Sara Putignano / Gea Martire Anna Chiara Colombo, Giovanni Prosperi, Francesca Astrei, Dario Caccuri scene Massimo Troncanetti luci Marco Giusti assistente alla regia Tommaso Capodanno foto di scena Claudia Pajewski produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale