Gambe, bambole, peluche e un cappello da pompiere. Tra oggetti di scena sparsi sul palcoscenico del Teatro Basilica, Andrea Cosentino con la maschera tradizionale di Pulcinella e ci dice che, alla fine, il suo personaggio muore. Niente aspettative, nessun messaggio ma solamente stare al gioco. Si nasconde, però, un velo sottile di comicità, ironia e qualche significato da captare nel vasto terreno del no-sense.
Cosentino, contro ogni schema, ci presenta uno “spettacolo brutto” con storie interrotte e ghigni sardonici scatenati da gag che disorientano e direzionano il pubblico verso un mondo bizzarro pieno di caricature e stereotipi provocatori che demoliscono totalmente gli schemi prestabiliti del teatro. Stile predominante è l’assenza di drammaturgia, condita dalla presenza di sketch esilaranti.
Originale e fuori dal comune, Cosentino disarticola la scena scomponendola in piccoli pezzi che si perdono nel corso dello spettacolo. Nonostante il caos di questo mondo incompleto, con personaggi fuori dal comune, vi é un ritmo congruente e controllato perché come, dice Cosentino, lo dobbiamo pur trovare un messaggio per questo «spettacolo brutto».
E qual è il messaggio? Cosentino fa rivivere oggetti e offre un’opinione comune a dei semplici peluche o ad una spugna e ci spiega come sia evidente quanto l’individuo, dentro la massa, si senta totalmente forte con il coraggio di dire e fare cose di cui come singolo individuo non sarebbe capace di prendersi la responsabilità. Tutto ciò si ricollega a luoghi comuni che vengono trasmessi all’interno della società da cui è difficile svincolarsi.
Cosentino ci presenta un personaggio in particolare: la signora semplice. Umile e modesta si presenta con un grembiule. Successivamente, rientrerà in scena con abiti diversi, più eleganti, perché quando una persona semplice parla davanti ad un pubblico gremito di persone, si riformula completamente lasciandolo a bocca aperta con discorsi colti e diretti. Personaggi inverosimili e storie finte muoiono ancor prima di respirare, si interrompono e disorientano lo spettatore che si trova in un’atmosfera surreale.
Cosentino cavalca questo palco a ritmo della batteria di Lorenzo Lemme che accompagna l’esuberanza e l’ironia degli sketch, regna sulla scena e sugli spettatori che stanno al gioco.
Con loro si diverte e si immerge completamente in una performance provocatoria e esilarante.
Non ci sono confini, Cosentino provoca e sbeffeggia lo spettatore: chi siamo noi? Persone semplici o siamo attori? Diventiamo multiformi, come Cosentino si trasforma in un semiologo, un critico d’arte, in una casalinga, noi cambiamo e diventiamo camaleonti.
«Il teatro è bello quando è finito», chiuso il primo capitolo arriva il finale con un tono completamente differente da quello iniziale: cupo e tetro. Cosentino presenta sulla scena il burattino di Artaud che si rivolge direttamente al pubblico con una voce metallica chiedendo continuamente «mi dai dei soldi?». Il teatro deve porre domande, non offrire risposte, e le domande strisciano lentamente come serpenti verso la platea che da divertita, resta in silenzio: come rispondere a queste domande così profondamente pungenti e acerbe? Non c’è nessun messaggio e la questione è: l’arte è viva o è morta?
Kotekino Riff
di e con Andrea Cosentino
Musiche in scena Michele Giunta o di un musicista ospite
Supervisore dinamico Andrea Virgilio Franceschi
Assistente Dina Giuseppetti
Produzione ALDES in collaborazione con Cranpi
In collaborazione con CapoTrave/Kilowatt 2017
Con il sostegno di Mibact – Direzione Generale per lo spettacolo dal vivo, Regione Toscana/Sistema regionale dello Spettacolo