Quando parliamo di teatro evochiamo un evento che si svolge dal vivo. La bellezza sta nel fatto che questa affermazione include i concetti di “verità” e di “errore”, che immediatamente ci proiettano in una dimensione di vita reale, vita vissuta.
Il teatro diventa quindi la necessità di rappresentare la vita in tutte le sue sfumature, in uno spazio circoscritto sacro, in cui si è accolti, cullati e compresi, anche nelle piaghe più profonde delle inquietudini dell’inconscio.
Nel corso della sua storia, la scena partenopea ha seguito un’evoluzione strettamente legata alla necessità di rappresentare la vita, con l’urgenza di comunicare, condividere, esorcizzare e denunciare tutto quello che la rende dannatamente difficile e al contempo meravigliosa.
Tradizioni, senso di appartenenza e radici profonde appaiono gli elementi imprescindibili della drammaturgia partenopea, che è accogliente, nel senso più profondo di un’inclusione sincera.
Rappresentato nel migliore dei modi possibili da grandi maestri come Viviani ed Eduardo, dagli anni Ottanta il teatro napoletano si lascia invadere dai cambiamenti sociali, artistico-culturali, economici e politici, che accadevano non solo in Italia, ma in tutta Europa. Rinnovare la tradizione è stata l’urgenza delle menti artistiche di quegli anni, protagonisti di uno sconvolgimento sotto certi punti di vista desiderato.
Enzo Moscato è sicuramente l’esponente di spicco di quella che viene definita come “nuova drammaturgia partenopea”. Il mondo che racconta è una Napoli liricamente reale, violenta e quieta, trasgressiva e inalterata, crudele e clemente, lacerata e lacerante.
Con quasi quarant’anni di attività come drammaturgo, filosofo, scrittore, regista, attore e cantante, è ancora impegnato attivamente con tournée in Italia e nel mondo, volgendo costantemente la sua attenzione “ai tempi che cambiano”.
In questa operazione di rilettura dell’antico, l’autore si trasforma in un archeologo del contemporaneo riscrivendo un suo testo celebre del 1986 Occhi Gettati, e trasformandolo nello spettacolo dal titolo: Occhi Gettati. Un de-coupage 34 anni dopo, andato in scena dal 24 marzo al primo aprile nella Sala Assoli di Napoli.
L’opera, da sempre testo-chiave per lasciarsi coinvolgere nell’universo espressivo dell’autore, viene ripensata in chiave contemporanea sotto forma di polittico di voci, un polilogo è il termine più indicato, per dare vita a quelli che lo stesso autore definisce come i “fantasmi reali o immaginari” della sua esistenza.
La drammaturgia di Moscato è in grado di vivisezionare i sentimenti umani aprendo frontiere, fratture e frane, e creando un impetuoso canto rapsodico in cui riescono a convivere ossimoricamente il tragico e il comico, il grottesco e l’armonia, il surreale e il reale.
La ricerca e l’uso del linguaggio è strettamente legato alla parola, che deve essere in grado di arrivare dritto al centro. Oggettiva è la ricerca poetica in una babele linguistica e creativa, ma l’uso predominante del dialetto rende viva e sincera la storia che si sta raccontando.
Il teatro per l’autore napoletano diventa un medium in cui far convivere poesia, cultura, tradizione e arti figurative.
Il Piccolo palco della Sala Assoli ospita nove personaggi, producendo una folla che rimanda all’affluenza tipica della città di Napoli, quasi per natura predisposta ad accogliere ed includere la molteplicità.
Il colore predomina la scena e i costumi, creati da Tata Barbalato, che rendono coerente la natura caotica dei personaggi e dei loro sentimenti.
Alla punta, in una predisposizione triangolare, c’è Moscato seduto con un leggìo, quasi fosse un enigmatico direttore d’orchestra, ai due lati invece, otto sedie disposte a destra e sinistra, che ospitano gli altri personaggi in un connubio folgorante tra staticità e movimento.
I segni di luce che definiscono la scena si proiettano verso l’alto in cui è protagonista un imponente San Sebastiano, che conduce lo spettatore in una dimensione di stampo sacrale.
Occhi Gettati è più di uno spettacolo, è il tentativo di rappresentare l’enigmatica e caotica esistenza dell’essere umano. È la voce di chi abitualmente, per costume, per abitudini o per chissà cos’altro, una voce in questa società non ce l’ha. È il tormento, la denuncia, il folclore, la vivacità e la crudeltà di una vita e un’esistenza sottoposta a giudizio.
Enzo Moscato e la compagnia da lui fondata si dimostrano abili interpreti di sentimenti da tutti conosciuti ma da pochi accolti. Il risultato è un’opera d’arte che vive.
OCCHI GETTATI. Un de-coupage, 34 anni dopo
testo, ideazione scenica e regia Enzo Moscato scena e costumi Tata Barbalato selezione musicale Dimomo con Benedetto Casillo, Giuseppe Affinito, Salvatore Chiantone, Tonia Filomena, Amelia Longobardi, Emilio Massa, Anita Mosca, Enzo Moscato, Antonio Polito assistente alla regia Giuseppe Affinito fonica Teresa Di Monaco sarta Clara Varriale allestimento Enrico de Capoa, Simone Picardi organizzazione Claudio Affinito produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Compagnia Teatrale Enzo Moscato / Casa del Contemporaneo