“Connessione e relazione”: queste le parole-chiave su cui Alessandra Ferraro, anticipando le traiettorie dell’attuale edizione del festival Attraversamenti Multipli (qui il comunicato stampa), ha posto l’attenzione nel corso della nostra intervista.
Ideato e diretto da Alessandra Ferraro e Pako Graziani, anime fondatrici del progetto artistico multidisciplinare Margine Operativo, il festival animerà dal 10 al 18 giugno paesaggi urbani del quartiere Quadraro di Roma, coinvolgendo anche per il primo anno il Parco di Torre del Fiscale, scenario naturale, parte del più ampio parco archeologico dell’Appia Antica; dal 25 al 26 giugno invece la manifestazione si sposterà nel borgo medievale di Toffia (Rieti).
Everything is connected è il tema/slogan di questa edizione di Attraversamenti Multipli. Nato durante l’emergenza pandemica, come si sposta quest’anno il focus sulla connessione alla luce dell’uscita dalla pandemia?
Tutto è connesso è un titolo che ci accompagna da tre anni: non è solo legato all’emergenza Coronavirus, ma è anche un ragionamento sviluppato da tempo sull’importanza, nella società contemporanea, della connessione e della relazione reale, concreta e vissuta tra le performing arts, i luoghi in e con cui si va a interagire, le comunità, i cittadini e gli spettatori con cui si instaura un rapporto. È un concetto che riguarda tutto il mondo: tutti siamo interconnessi a livello planetario e la situazione pandemica ce lo ha dimostrato. Anche il logo con una farfalla è correlato al tema della connessione: si riferisce al Butterfly Effect, l’effetto farfalla, teoria matematica che racconta come qualcosa che succede dall’altra parte del mondo può influenzare anche chi sta distante chilometri. Pensiamo che un festival che lavora sulle arti performative contemporanee come Attraversamenti Multipli debba interrogarsi sul suo presente tramite performances e spettacoli, anche perché lo scenario attuale è complesso: siamo usciti dalla pandemia, c’è una guerra, ci sono cambiamenti veloci in atto. Questo è l’ultimo anno che lo slogan ci accompagna, ma resta comunque un macrotema su cui continuare a interrogarsi.
C’è una tematica che lega e accomuna gli spettacoli e le performances?
Non c’è mai una tematica stretta per scelta: in ogni edizione, Pako Graziani e io, come direzione artistica del festival, instauriamo dialoghi e relazioni con gli artisti coinvolti. La caratteristica di Attraversamenti Multipli è che lavora in relazione con i paesaggi urbani; quest’anno, inoltre, apriamo una riflessione anche sui paesaggi naturali, attraverso due giornate che si sviluppano all’interno del Parco di Torre del Fiscale, un parco urbano pubblico in uno spazio verde. La maggior parte delle performances sono delle creazioni esclusive per il festival, oppure spettacoli preesistenti riadattati in base agli spazi con cui interagiscono. Uno dei pilastri del festival, infatti, è la dimensione del site-specific, che è sì una forma, ma anche un contenuto. Per questo alla base delle scelte della programmazione vi è il dialogo con gli artisti, attraverso il quale si comprende lo spettacolo più adatto per un determinato spazio.
Un esempio è Roberto Latini, che presenta lo spettacolo Venere e Adone nella Variazione n.3, una declinazione pensata appositamente per il festival. Dentro quest’ottica, intercettiamo e uniamo realtà sia nazionali che internazionali, compagnie e artisti che stanno espandendo il confine delle perfoming arts, sia confrontandosi e dialogando con gli spazi, sia ibridando diversi codici artistici. Da un punto di vista formale, c’è indubbiamente una forte presenza della danza, a testimonianza di un’importante ricerca in atto in tutto il territorio nazionale nell’ambito della danza contemporanea, che è terreno e linguaggio in cui vi una maggiore tendenza alla sperimentazione e all’ibridazione di codici. Ospitiamo molte compagnie della scena nazionale e internazionale della danza come per esempio Spellbound, che presenta uno spettacolo in una versione urbana, costruito appositamente per gli spazi del festival. E per “spazi” non intendo solo la fisicità di un luogo, ma anche quelle che sono le tessiture umane che attraversano un luogo, la relazione con gli spettatori e con le comunità. La dinamica partecipativa è difatti un altro filone che ci interessa e ci accompagna da un po’ di anni. Significativa a tal proposito è la pratica interattiva Atrio, creata da Salvo Lombardo della compagnia Chiasma.
In generale, più che la tematica, ci interessa indagare le relazioni tra le arti performative e il loro tempo, che vengono declinate non soltanto attraverso dei contenuti, ma anche attraverso delle forme, come nel caso della compagnia Funa, una delle compagnie vincitrici del bando Danza Urbana XL, che presenta Room22, una performance nata durante il lockdown, in un momento di distanziamento, all’interno di un discorso su una spazialità molto ristretta, qui trasferita e allargata sullo spazio urbano.
Per quanto riguarda le compagnie internazionali, apriamo il primo giorno con la compagnia basca Ertza, che presenta per la prima volta in Italia lo spettacolo Otempodiz, un’operazione di danza creata attraverso uno scambio tra Spagna e Mozambico, con danze che si intrecciano e che vanno dall’hip hop, all’urbano, al contemporaneo; tra gli altri, ospitiamo Frantics, una compagnia di danza di Berlino, che presenta il 18 una performance site-specific creata per Largo Spartaco e gli spazi del Quadraro.
Più che un tema, quindi, vi è una traiettoria molto attenta alle forme e al dialogo, soprattutto con gli artisti, con i quali si sceglie lo spettacolo che si può immaginare di proporre rispetto ai luoghi.
In questa edizione, pur continuando ad animare il contesto urbano di Largo Spartaco, vi è una novità dal punto di vista delle location: come può Parco di Torre del Fiscale influenzare o rafforzare il rapporto di connessione che è alla base del festival?
Il festival ha da sempre attraversato diversi luoghi della metropoli di Roma. Negli ultimi anni, abbiamo scelto di collocare lo spazio del festival nel quartiere del Quadraro, in particolare a Largo Spartaco. Quest’anno abbiamo deciso di proporre la novità di Parco di Torre del Fiscale, che si trova all’interno del Quadraro e fa parte del parco archeologico dell’Appia Antica. È uno spazio suggestivo, immerso nella natura e pieno di storia: sembra un posto magico e lontano, eppure si trova proprio nella metropoli. Per altro, in questa zona, si concentra il maggior numero di abitanti di Roma.
Abbiamo deciso di trasferire due giornate del festival proprio all’interno del Parco di Torre del Fiscale per intraprendere un ragionamento rispetto alla relazione fra le arti performative contemporanee e gli spazi verdi come i parchi urbani: è una ricerca che vorremmo approfondire nei prossimi anni. Lo abbiamo immaginato in un’ottica green e sostenibile: cerchiamo di abitare i luoghi senza invaderli, creando una tessitura di relazione con essi, che dura anche per un periodo di tempo lungo. Parco di Torre del Fiscale è uno spazio pubblico dato in concessione: è gestito da un’associazione che fa un lavoro molto importante, introducendo anche attività con le scuole. È un luogo dove c’è molta cura. All’interno di queste due giornate, si sviluppano una serie di performances che abiteranno lo spazio per com’è realmente. Infatti, non ci sono palchi, tutti lavorano sull’erba e anche agli spettatori stessi daremo delle stuoie. Ci sarà pochissima illuminazione: molte performances si sviluppano alle 18, con la luce naturale; altre, come quelle di Nicola Galli e Roberto Latini, alle 21, al crepuscolo, al passaggio tra luce e buio. Carlo Massari di C&C Company presenta invece una versione esclusiva del suo progetto per la prima volta in uno spazio verde: arriverà giorni prima per lavorare in quel luogo.
Per noi è un nuovo ragionamento che si apre sui paesaggi e sugli spazi pubblici della metropoli di Roma. È la prima volta che lavoriamo in un luogo verde, in mezzo agli alberi e con la terra ed è una sperimentazione che vorremmo espandere ulteriormente.
«Agire significa agire in interazione con altre creature e con diversi contesti sociali, culturali e ambientali», asserite nel Comunicato Stampa. In quale misura l’azione crea connessione e/o viceversa?
Ciò rientra nel macrotema del Tutto è connesso. Abbiamo usato un termine particolare: «creature», non volendo intendere solo gli esseri umani. Anche la crisi climatica per esempio ci mette sempre di più di fronte al fatto che viviamo in un bilanciamento tra forze naturali e creature del mondo, che è mondo degli umani e degli animali. La scena artistica del contemporaneo ha dentro un’ottica che può creare dei cambiamenti e, riprendendo Majakovskij, per noi l’arte non è solo uno specchio che riflette, ma qualcosa che può trasformare o almeno indicare delle traiettorie di possibile trasformazione: questa è la questione che ci dobbiamo porre, soprattutto in questo momento storico. Abbiamo sempre pensato che le arti performative, le creazioni e i festival servano a creare e organizzare un grande spettacolo: noi non amiamo molto la parola “organizzare”, preferiamo usare la parola “cura”. Pensiamo che attraverso il festival e le creazioni dobbiamo assumerci la responsabilità di quello che è il contesto (non semplice) in cui stiamo vivendo. Per questo vogliamo proporre non soluzioni, bensì traiettorie: in tal senso aprire due giornate in un parco urbano significa innanzitutto cominciare a ragionare sulla sostenibilità, cercando di essere poco impattanti nei luoghi coinvolti del festival, ad esempio utilizzando luci a basso consumo. Bisogna essere coscienti dell’importanza delle connessioni che stiamo vivendo e sfuggire con forza all’autorefenzialità: è importante ricordare e ricordarci delle molteplici interconnessioni che ci legano non solo al pubblico e alle comunità che vivono i territori: Attraversamenti Multipli infatti è sì un festival rivolto alla metropoli di Roma, ma alcuni spettacoli sono pensati anche per il live streaming, aprendosi quindi a un pubblico che va oltre i confini geografici, nonostante per noi resta centrale la relazione local-global, in quanto dimensione attenta anche a ciò che ci è accanto.
Ci hai aperto una porta su una riflessione sulla spettatorialità. Esiste un “target” di riferimento a cui vi siete abituati in questi anni, in base al quale avete poi dovuto rispondere attraverso la modifica o l’evoluzione della vostra programmazione, organizzazione e cura interna?
Il tema dello spettatore è sempre stato centrale per il nostro lavoro. Attraversamenti Multipli nasce dalla voglia di essere corpo tra gli altri corpi: infatti, quando abbiamo iniziato, nel 2001, proponevamo il festival all’interno delle stazioni della metropolitana, in quanto luoghi di passaggio, attraversamenti di linguaggi artistici, incontri fra corpi, appunto. Da quel momento c’è sempre stato un ragionamento su un pubblico molto ampio che non ha mai incluso un vero e proprio target specifico, anche se delle riflessioni si sono aperte: ad esempio, negli ultimi anni, abbiamo aperto una sezione del festival alle nuove generazione di spettatori, a cui quest’anno sono rivolti i due spettacoli di circo contemporaneo a Largo Spartaco e le due giornate che si sviluppano a Toffia, in provincia di Rieti. Questa sezione del festival inizialmente non esisteva, ma abbiamo sentito la necessità di instaurare un dialogo con gli spettatori del futuro. Se qualcuno vuole condividere un’ottica di trasformazione del reale deve necessariamente interrogarsi sulla responsabilità che ha nel lasciare una città migliore.
Contemporaneamente, stando in una metropoli come Roma, l’altra aspetto che ci interessa all’interno di un ragionamento sul pubblico riguarda le nuove cittadinanze, i flussi migratori e i richiedenti asilo. È una riflessione a cui non si può sfuggire in un’ottica di molteplicità antirazzista e antisessista e per questo ci siamo chiesti come riuscire a intercettare le nuove cittadinanze nel ruolo di spettatore attraverso la cultura. La danza, il teatro e la musica possono creare cittadinanza; le arti performative possono essere uno strumento di interazione tra culture diverse e un modo di sentirsi a casa in un luogo che ancora non è ancora casa.
Per questo dal 2017 abbiamo intrapreso una collaborazione con il progetto Spettatori Migranti / Attori Sociali coordinato da Luca Lotano, con il coinvolgimento di Teatro e Critica e Blackpost, creando RE.M. Redazione Meticce, un laboratorio di visione interculturale che da anni segue e racconta il festival attraverso un blog.
Si tratta di un progetto editoriale che lavora sull’essere spettatore come pratica di cittadinanza. Lo scorso anno per esempio facevano parte della redazione diversi ragazzi di seconda e terza generazione, generalmente di 24/25 anni, con le più varie provenienze geografiche. Il blog, oltre a essere stato tradotto in più lingue, presenta anche una forte componente visiva (video e disegni), rendendo quindi questa sorta di diario di viaggio del festival trasmissibile, leggibile e godibile in tutta Europa. Inoltre alcune persone di RE.M Redazioni Meticce provengono dalla scuola di italiano della biblioteca Cittadini del Mondo, una biblioteca interculturale del Quadraro con cui il festival Attraversamenti Multipli è in costante dialogo e ascolto. Perciò si parla di tessitura del processo con mesi di lavoro e scambio.
Per noi la partecipazione si avvera nel momento in cui una donna del Bangladesh che sta seguendo la scuola di italiano di Cittadini del Mondo viene a vedere uno spettacolo di Attraversamenti Multipli, poiché ci interessa anche lo sguardo di chi ha un’altra cultura linguistica e un altro immaginario. Ricevere un feedback da uno sguardo portatore di una cultura diversa significa in fin dei conti mettere in connessione e abitare nelle relazioni.