Quando una biografia diventa un discorso politico? Quando gli eventi mettono in relazione l’individuo con gli altri e con il suo contesto. Ed è questo approccio a rendere politica la scrittura di Édouard Louis, intellettuale e autore francese emergente che, non a caso, ha una formazione sociologica. Il giovane Louis, classe 1992, si è distinto con opere autobiografiche, all’interno delle quali evidenzia, però, questioni – l’indigenza della classe operaia, il razzismo e il classismo delle burocrazie, la rabbia sociale generata dall’incomunicabilità, ecc. – che superano i confini della sua storia personale. Per questa ragione ha suscitato l’interesse di Thomas Ostermeier, maestro della scena internazionale, che in History of Violence porta sul palcoscenico il secondo romanzo autobiografico di Louis, Histoire de la violence, appunto. Con questo spettacolo, prodotto nel 2018 e giunto quest’anno al Festival dei Due Mondi di Spoleto, i due artisti hanno dato inizio a una collaborazione che li ha visti di nuovo in scena alla Biennale di Venezia nel 2021 con Qui a tué mon père (ne abbiamo scritto qui).
«Fondamentale – dichiara il regista della Shaubühne – è il contesto con cui si misura il dramma privato di Louis». Qui il dramma privato è forte: una violenza sessuale subita da Louis nel dicembre 2012. Lo stupro è una di quelle azioni su cui non bisognerebbe discutere, tanto è agghiacciante e gratuito. Tuttavia, il “fatto” non assume per tutti i personaggi della vicenda del giovane Eduard lo stesso aspetto: per i poliziotti ha maggior rilievo l’etnia dello stupratore, arabo; per la sorella la responsabilità è in fondo della natura “libertina” – alias omosessuale – di Eduard; per i medici è la causa di un iter di profilassi antivirale; per Eduard è invece quasi da “comprendere”, per quanto insopportabile: Reda, il violentatore, è un immigrato che ha sofferto, che non riesce a sfuggire alla violenza prima subita, ora agita. La contraddizione e la complessità degli elementi che sottostanno a queste interpretazioni dei fatti chiamate in causa, generano un quadro politico, la fotografia di un mondo in cui convivere è ancora difficile, in cui nascondersi è spesso la via meno dolorosa. Louis sceglie invece di mostrarsi. Susan Sontag direbbe che nascondersi e mostrarsi sono la stessa cosa, l’una il rovescio dell’altra, ma certo consegnare la propria storia prima ai lettori e poi a un regista, è un atto di fiducia nei confronti del mondo. La violenza cambia, stravolge e segna definitivamente la vita di Louis ma, come la sua, cambia e stravolge e segna l’esistenza di tantissime persone. E non è sempre così eclatante, la violenza, agisce sotterranea in dinamiche familiari, lavorative, sentimentali. La valenza politica sta dunque in questo ed è forse, semplicemente quella del teatro: la possibilità per qualcuno di riconoscersi nel protagonista violentato, e per qualcun altro invece di riconoscersi in uno di quei personaggi che, violenti loro malgrado, discriminano, sbeffeggiano, ignorano il Diverso, l’Altro.
Ostermeier traduce in scena la dissociazione dell’io protagonista, che rivive gli eventi per ricostruirli e allo stesso tempo per distaccarsene, servendosi magistralmente dello strumento del video: in una scena pressoché bianca, con pochi elementi – un letto, un tavolo, sedie, una doccia – sull’ampia parete di fondo proietta inquadrature strette, particolari della scena ripresi in diretta dagli stessi attori. Uno sdoppiamento del punto di vista che non si riduce a didascalia, ma amplifica il portato emotivo del racconto, merito della precisione e della forza degli attori sulla scena: Christoph Gawenda, Laurenz Laufenberg, Renato Schuch e Jenny König (quest’ultima ha sostituito in corsa la collega Alina Stiegler, assente per motivi di salute). La batteria suonata dal vivo da Thomas Witte fa da contrappunto, sottolinea il respiro degli interpreti, dà ritmo alle azioni, ai corpi vibranti che in momenti chiave della messinscena esplodono in azioni coreografiche, come fossero sfoghi straniati. Per raccontare il trauma che è una frattura da sanare, un inciampo da cui rialzarsi, Ostermeier mette in piedi una regia rigorosa, un meccanismo senza inceppamenti.
Se vogliamo intendere – e lo vogliamo – il teatro come uno strumento d’analisi, più che come mezzo puramente d’espressione, si può dire che nella scrittura di Louis è chiara l’intenzione di analizzare le contraddizioni della realtà, la multiforme percezione degli eventi legata ai contesti in cui si nasce e ci si forma; ma sì può anche dire che l’autore indugia più naturalmente nell’urgenza di “esprimersi”, mantenendo il suo punto di vista come dominante. È fisiologico, forse. Non si può dimenticare che ci troviamo davanti a un racconto autobiografico. Epperò è una storia che parla a tutti, prova ne è la risposta del pubblico del Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti, caloroso, partecipe, emozionato.
History of Violence
TRATTO DAL LIBRO DI ÉDOUARD LOUIS
NELLA VERSIONE DI THOMAS OSTERMEIER, FLORIAN BORCHMEYER, ÉDOUARD LOUIS
REGIA
Thomas Ostermeier
COLLABORATORE ALLA REGIA
David Stöhr
SCENE E COSTUMI
Nina Wetzel
MUSICA
Nils Ostendorf
VIDEO
Sébastien Dupouey
DRAMMATURGIA
Florian Borchmeyer
LUCI
Michael Wetzel
COLLABORATORE ALLA COREOGRAFIA
Johanna Lemke
CON
Christoph Gawenda, Laurenz Laufenberg, Renato Schuch, Jenny König
MUSICISTA
Thomas Witte