DAY #2
In questa seconda giornata di Kilowatt Festival (qui il day #1) nella città di Cortona il programma prevede gli spettacoli Aristotele’s bermuda di Luisa Merloni nello spazio della Palestra di San Sebastiano, Addio fantasmi di Fanny&Alexander al Teatro Signorelli, 70 anni di Leo Bassi sul palco di piazza Duomo e SonoR di Aloun Marchal all’Auditorium di Sant’Agostino.
Artistotele’s bermuda
Di e con Luisa Merloni
Disegno luci Camila Chiozza
Coreografia Sarah Sammartino
In collaborazione con Fivizzano27
Come può una donna moderna districarsi all’interno dei mutamenti continui dei nostri giorni? Come si affronta un presente in frenetica evoluzione incastrato in un passato stantio che non riesce a stare al passo coi tempi? Può aiutare un incontro in metropolitana con il padre del pensiero occidentale, Aristotele in persona? Secondo Luisa Merloni, autrice e interprete del brillante assolo comico Aristotele’s bermuda, l’incontro con il filosofo greco non è né risolutivo né incoraggiante. In 60 minuti l’autrice romana, con irriverenza e sagacia, fa un’analisi lucida e cinica del tempo in cui viviamo: un’epoca in cui tutti siamo esperti di qualcosa, tuttologi, e discorriamo di tutto senza fare niente; ci approcciamo maldestramente a un mondo cristallizzato in vecchi stereotipi culturali, cercando di distruggerli senza riuscire nemmeno a scalfirli. Che fare allora? Aristotele punta il dito contro le donne nubili e senza figli perché è soltanto dall’interno di un matrimonio che si può debellare il patriarcato, «nascondendo la dinamite sotto il talamo nuziale». A volte la vita è una questione di interpretazione. L’importante è non buttare la spugna, ma andare avanti, evolversi, non come Aristotele ridotto da padre del pensiero occidentale ad immigrato clandestino con un sogno nel cassetto: mostrare a Chiara Ferragni i suoi bermuda fatti a mano ed entrare finalmente nel mercato. «Only clothes are real».
Addio fantasmi
Ideazione, drammaturgia, costumi Chiara Lagani
Ideazione, regia, scene, disegno luci Luigi De Angelis
Con Anna Bonaiuto, Valentina Cervi
Due donne, una madre e una figlia, si riuniscono dopo tanto tempo per ristrutturare e vendere la casa di famiglia. Il padre, un giorno, quando Ida era ancora bambina, è uscito di casa per non tornare mai più e da allora entrambe hanno convissuto con questo vuoto, senza superarlo mai.
Addio Fantasmi di Fanny&Alexander è tratto dall’omonimo romanzo di Nadia Terranova.
Anna Bonaiuto e Valentina Cervi, rispettivamente madre e figlia, regalano due interpretazioni magistrali, intime, intense e commoventi. La regia è semplice e, nella sua semplicità, estremamente evocativa: pochi oggetti circondati da un perimetro di veli, che nascondono e allo stesso tempo mostrano, che escludono ma rivelano, costringendo queste due solitudini ad incontrarsi.
Nella vecchia casa, piena di ricordi stanchi e confusi, l’assenza diventa presenza. I fantasmi del passato tornano a tormentare sia la figlia che la madre, ad allontanarle. Ognuna delle due donne ha dovuto fare i conti col passato, separatamente, protette da uno spesso velo di silenzi, rancori ed egoismi. L’incontro si trasforma così in uno scontro, dove entrambe si accusano a vicenda e si sforzano di dimostrare quanto abbiano sofferto, soffrano ancora, e quanto la sofferenza dell’una sia più forte dell’altra. Il percorso per la riconciliazione è inevitabilmente tortuoso, fitto di ostacoli, di domande alle quali non bastano le solite risposte.
Addio Fantasmi è uno spettacolo intenso, con due interpreti straordinarie che racconta quanto il silenzio di un’assenza possa fare rumore.
70 anni
Di e con Leo Bassi
Leo Bassi compie settant’anni.
Siamo in piazza del Duomo e la grande attesa per questo spettacolo è palpabile dal movimento frenetico degli spettatori in cerca di un buon posto da cui guardare. Si spengono le luci e un anziano signore dalla sinistra del palco vi sale sopra trascinandosi lentamente con il sostegno di un deambulatore. Arranca. Si ferma al centro del palcoscenico, dove troneggia una bara con dietro uno schermo su cui si legge «Funeraria el progreso»; si inchina ricevendo il caloroso applauso di benvenuto del pubblico in trepidazione. La musica che accompagna i suoi passi, lenti e claudicanti, intona melodie funebri. Arriva a una sedia sul lato destro del palco e lentamente vi si accascia sopra. Inizia, così, lo spettacolo: un racconto di settant’anni di vita, di circo e di teatro.
Quello a cui abbiamo assistito ieri è stata un’autentica e letterale “botta di vita”.
Leo Bassi, con il suo italiano spagnoleggiante, ci ha teso la mano e ci ha fatto salire sulla sua giostra, svelandoci aneddoti ed episodi di esperienze esilaranti, raccontandoci i retroscena di immagini proiettate sullo schermo, confidandoci notizie sconvolgenti apprese da lui stesso solo poco tempo prima. Come lo straordinario racconto del padre che, sul letto di morte all’età di novant’anni, gli confida che nel 1953, insieme alla madre, aveva portato il piccolo Leo, di soli undici mesi di vita, nel deserto del Nevada, per assistere allo show dell’esplosione nucleare della bomba atomica. Questi erano spettacoli che si ripetevano due volte alla settimana e che richiamavano frotte di turisti da tutta l’America. «Imbecille!», grida Leo Bassi guardando il filmato del padre che guida orgoglioso ed emozionato alla volta del Nevada. «Siete il secondo pubblico d’Italia che vede questo filmato». Tra gli spettatori l’ilarità è grande, ma comincia a farsi strada anche una certa tensione, perché appare sempre più evidente che stiamo per assistere all’esplosione di una bomba nucleare filmata dal padre. E infatti la vediamo: sconvolgente, vulcanica. Agli applausi si alternano risate e costernazioni. Peccato che la ripresa in video duri molto poco (in tempo, tuttavia, per vedere il fungo dell’esplosione), perché la vicinanza alla bomba era talmente grande che il boato distrusse la pellicola, e il piccolo Leo volò dalle braccia della madre investito dalle radiazioni. «Tutte le radiazioni che hai preso quel giorno ti hanno dato l’esplosiva grinta ed energia che ti ha sempre caratterizzato», spiega il padre una decina di anni fa all’incredulo Leo Bassi. Ecco risolto il mistero: «io sono il primo supereroe della Marvel con superpoteri!». Infatti, Leo Bassi non teme affatto la morte perché non teme l’ignoto («anzi, più una cosa è sconosciuta e più mi fa ridere»), né teme il dolore (si sdraia supino su cocci di bottiglia taglienti). Così, con l’arma della comicità, sfida irriverente la falce della morte, puntandogli contro un gigantesco dito medio gonfiabile, sul ritmo di Born to be wild di Bruce Springsteen.
Ricostruendo il tracciato della sua vita, tramite ricordi, aneddoti, immagini e video proiettati, Leo Bassi alla domanda se esiste un momento nella vita di ciascuno in cui sarebbe meglio ridimensionarsi in un atteggiamento più ordinario continua a darsi la solita risposta: la risposta, esplosiva e irriverente, di un urlato «NO!» perché il segreto della vita è ridere, «ridere di tutto».
Lo spettacolo verso la fine raggiunge alte vette di lirismo quando, attraverso il filmato preso dall’Istituto della Fondazione Lumiere di Lione, il comico ci mostra il suo antenato, Giorgio Bassi, anch’egli giocoliere, ripreso nel 1896 dai padri del cinema. «Una famiglia che non ha fatto molto nella vita, solo cose inutili», ironizza Leo Bassi, sulle immagini delle difficili acrobazie dell’antenato.
Autentico figlio d’arte («sono come un dinosauro, una razza in via d’estinzione») e ultimo superstite della lunga generazione di giocolieri che dal 1840 si sono succeduti fino a lui, Leo Bassi, vestito da clown, conclude lo spettacolo con una gigantesca torta di compleanno gonfiabile, ballando sulle note Heavy Metal di Happy birthday to you. È buffo ripensare all’inizio dello spettacolo quando egli arrancava col deambulatore e vederlo, invece, alla fine scatenarsi sul palco mentre si butta in faccia un piatto di panna montata. Dal funerale alla festa.
In alto i cuori, tra risate, applausi e incitamenti, siamo tutti in piedi a festeggiarlo.
SonoR
Ideazione e coreografia Aloun Marchal
Drammaturgia Celine Cartillier
Con Sandra Abouav, Nelly Zagora, Mathilde Rance, Gilda Stillback
Disegno luci Eduardo Abala
Quattro performer in scena guardano verso gli spettatori, immobili. Una di loro avvicina lentamente un microfono a una narice. Le altre progressivamente la seguono. Il ritmo del respiro, lentamente, accompagna i primi movimenti della performance: passi lenti che esplorano la superficie dello spazio scenico. Fin da subito si viene rapiti da un’atmosfera di sospensione del tempo: i loro movimenti insieme al ritmo cadenzato del respiro creano una cornice narrativa che viene riproposta in vari momenti dello spettacolo e che circoscrive alcuni “paesaggi interiori”. Le performer, alternandosi a due microfoni posti ai lati del palco, popolano l’ambiente scenico con mondi gestuali e sonori, e «nella costante trasformazione dei corpi, si alternano la danza kabuki, la messa in vita di personaggi mostruosi e i suoni ispirati ai canti popolari ucraini». Corpo e suono si plasmano in un unico linguaggio che evoca mondi lontani al ritmo di un respiro collettivo.