Sarà solo l’inizio del mondo recita il cartellone di CastellinAria – Festa Pop 2022, un titolo che sa di futuro e di desiderio. La quinta edizione del Festival si è svolta ad Alvito tra il 1° e il 7 agosto, con un
programma diviso in due: i primi giorni nella parte bassa della città e, invece, dal 4 al 7 al Castello
Cantelmo, in cima, nel punto più alto. La scelta degli spettacoli è affidata alla direzione artistica di
Niccolò Matcovich, Livia Antonelli, Chiara Aquaro e Anna Ida Cortese che, con l’assistenza
all’organizzazione di Laura Nardinocchi e coinvolgendo collaboratori e amici, ha contribuito a
rendere possibile la realizzazione del Festival. La selezione ha voluto tener conto di un aspetto
importante per il teatro di oggi: lo spazio. Ogni spettacolo, infatti, si è inserito in un contesto, un
luogo che non è tipicamente quello teatrale ma ha abitato la città e l’ha resa viva, creando
connessioni con gli abitanti e un pubblico di non addetti ai lavori. L’inizio della rassegna è stato
affidato allo spettacolo di Sesti, Fumo, Contini: Eclissi racconta una storia di ricordi che non si
vogliono dimenticare, conducendo uno spettatore alla volta per le strade di Alvito e coinvolgendo
fino alla commozione ogni partecipante attraverso la condivisione di una proprio ricordo
indimenticabile.
Con AperinAria, dirette instagram delle ragazze di merdamerdaohmerda che intervistavano gli
artisti, carte dei tarocchi che raccontavano la giornata, giochi nel belvedere, pranzi e cene
comunitarie, i primi giorni sono passati velocemente e giovedì 4 agosto tutto CastellinAria si è
trasferita al Castello.
Lo spettacolo che ha aperto la seconda parte della rassegna, tra le “quinte” di pietra di una
piazzetta, è Muri. Autobiografia di una casa del Teatro delle Ariette. Il racconto è quello della loro
vita, di Stefano Pasquini e Paola Berselli che per 33 anni hanno vissuto in un podere, le Ariette, e lì
hanno creato il loro mondo teatrale, tra campi di grano, animali e oggetti recuperati da chi li
voleva buttare. Ma le loro autobiografie narrano anche le vite degli altri, ci riconosciamo nel
passato dei padri e delle madri e ritroviamo il presente nell’essere figli che abitano il tempo del
cambiamento, guardando al futuro. Sulle note di For the times they are a-changin’ di Bob Dylan,
60 spettatori vengono invitati a cena, sul palco dove, tra i ricordi de Le Ariette, è stata anche
portata la loro cucina. Sono così preparate tagliatelle al grano con pesto di noci: tutti si fermano a
chiacchierare e a condividere ricordi ed emozioni. In questa situazione è difficile non avere il cuore
in mano; il desiderio è quello di non volersi alzare più, di restare lì fino al calare del sole e
aspettare il bis.
Il 5 agosto invece è stato dedicato al teatro ragazzi, con Bradamante Teatro e lo spettacolo Paolo
dei Lupi. Bambini e adulti vengono trasportati sulle montagne d’Abruzzo, con Paolo lo studioso e
Simone il ragazzino innamorato dei lupi. Attraverso la sua voce, in grado di evocare una
moltitudine di punti di vista, l’attrice Francesca Camilla D’Amico ci racconta della “operazione San
Francesco”, di quando il biologo Paolo Barrasso andò con la sua Land Rover a studiare i lupi per
salvarli dall’idea, diffusa in paese tra i cacciatori, che fossero animali da sterminare.
Durante la stessa serata gli adolescenti continuano a essere il fulcro con la compagnia Arione De
Falco che ha portato in scena Storia di un no, uno spettacolo che racconta la storia di Martina e
della sua relazione tossica. Il duo riflette su una verità conosciuta e con semplicità trascina il
pubblico in un vortice di pensieri e di possibili soluzioni: Martina è una ragazza che nonostante la
sua forza viene risucchiata in un mondo negativo da cui alla fine riuscirà a scappare urlando un
grande NO!
L’ultimo giorno di Festival, il 7 agosto, il programma ha previsto la restituzione del laboratorio per
bambini Facciamo che… Dall’improvvisazione alla scena, di Arione De Falco e Trent’anni di
grano del Teatro delle Ariette, ma (perché c’è un ma!) sono due spettacoli che non hanno potuto avere luogo. La pioggia, dopo un tramonto spettacolare, scroscia implacabile e bambini e pubblico
zuppi corrono al riparo, organizzatori e volontari salvano il salvabile e si rifugiano sconsolati dentro
bar, sotto tetti e archi di case. Come dice una canzone, la pioggia porta con sé la voglia di piangere,
e così tra le gocce ne scende anche qualcuna salata. Gli spettacoli sono saltati e non c’è niente di
peggio di non poter avere una fine, di lasciare in sospeso un evento e soprattutto una serie di
emozioni. Cessa il temporale, si asciugano le sedie e ci si accomoda al bar aspettando qualcosa da
mangiare. Tra sguardi tristi e un sorriso forzato Le Ariette prendono in mano la situazione: portano
in tavola tigelle, salumi e formaggi, ci parlano del loro grano, del cibo, del teatro e della vita e in
qualche modo elogiano la pioggia che ha rattristato il pubblico ma gioverà ai campi. Così si mangia
tutti insieme, ancora una volta, vivendo in prima persona l’ultimo spettacolo che diventa la nostra
autobiografia di Trent’anni di grano e sgraniamo le spighe per raccogliere i chicchi con cui
Stefano e Paola faranno le tigelle per la prossima replica.
Alla fine, ci si rende conto che ogni evento è stato anche il suo stesso allestimento, il prima e il dopo, conoscere i desideri degli attori, osservare come organizzano macchine e furgoni, aiutarli nel prepararsi, accompagnarli in camerino o ai palchi. Ciò che accade sulla scena s’impregna così dei gesti di tutti e nello spettacolo si riconoscono oggetti e attrezzi trasportati poco prima e ci si sente parte di quel mondo che
stanno ricreando sul palco.
Un Festival non è solo gli spettacoli che ospita, ma è fatto di tutti quei momenti di condivisione e
di festa che circondano il tempo degli spettacoli, eventi che gli donano uno spirito denso di vitalità
in cui accomunare tutti, cittadini vicini e lontani di Alvito, volontari, organizzatori, amici e bambini.
CastellinAria ha invaso la città e se ne è fatto invadere.