Gisèle Vienne Crowd photo Roberta Segata

Crowd, l’esperimento memoriale di Giséle Vienne

Il 17 e il 18 settembre, il Teatro Argentina ha accolto Crowd, lavoro del 2017 della regista teatrale e coreografa franco-austriaca Gisèle Vienne. Lo spettacolo, ispirato all’esperienza di un rave party, chiude la programmazione di Short Theatre, festival multidisciplinare giunto alla sua diciassettesima edizione.

Nel saggio del 1991 T.A.Z.: The Temporary Autonomous Zone, Hakim Bey definisce la T.A.Z. come uno spazio temporaneamente liberato dalla mappa dello Stato, che offre la possibilità, a chi lo frequenta, di riscoprire l’immaginazione e il contatto non mediato tra gli esseri umani; un «luogo liberato, dove la verticalità del potere viene sostituita spontaneamente con reti orizzontali di rapporti». Questo concetto, che Bey mutuava dalle sue esperienze in diverse comuni statunitensi degli anni ‘60, come quella di Timothy Leary a Millbrook, nello stato di New York, fu rapidamente fatto proprio dal movimento dei “free parties”, che stava nascendo proprio agli inizi degli anni ‘90 nel Regno Unito. Un movimento che raccoglieva giovani di ogni estrazione sociale, pronti a riunirsi ogni fine settimana in una fabbriche abbandonate, pinete, spiagge o in qualsiasi altro luogo risultasse adatto, allo scopo di creare una T.A.Z., uno spazio liberato dalle regole della società in cui celebrare il rito del rave, suonando musica prevalentemente elettronica, abbandonandosi allo “spirito della cassa dritta”, e sperimentando varie declinazioni e interpretazioni di libertà, anche attraverso l’uso di stimolanti e sostanze enteogene.

Ciò che è stato evocato al Teatro Argentina, il 17 settembre, richiama molto da vicino una T.A.Z. e la celebrazione di un rave. Per un’ora e mezza, infatti, il palco si è trasformato in una zona liberata in cui i performer hanno messo in scena, ma anche vissuto, il rito collettivo di una festa sfrenata, ballando tra le onde martellanti, ipnotiche, senza compromessi della musica techno.

Prima dell’inizio dello spettacolo, il sipario è già alzato, a mostrare uno spazio scenico che riflette fedelmente alcuni elementi caratteristici di un free party.
Innanzitutto il praticabile, che è stato coperto da uno strato di terriccio, su cui sono sparsi casualmente lattine vuote, bottiglie di plastica, cartacce.
Poi la luce, che pulsa in un’oscurità attraversata da nubi di ghiaccio secco.
Infine, vera protagonista, la musica: un’accurata selezione della miglior Detroit techno, da Underground Resistance a Jeff Mills a Drexciya.

Al ritmo della techno i performer arrivano uno per volta, al ralenti, occupando ciascuno il suo spazio. I loro costumi riprendono stilemi tipici della scena rave: capi da ginnastica dai colori fluo, braccialetti che si illuminano al buio, jeans scuri e felpe col cappuccio.

Inizialmente divisi, ciascuno impegnato nella sua personale coreografia, man mano che il palco si popola i raver si raggruppano creando dei capannelli, dove si fumano sigarette, si beve birra o semplicemente si continua a ballare. Questa dinamica di avvicinamenti e allontanamenti si ripete, in diverse configurazioni, come in un caleidoscopio.

Il palco diventa il luogo di una partitura plurisensoriale, in una dimensione percettiva alterata da sostanze, endocrine e non, dove è possibile seguire le molteplici dinamiche che si creano nella folla (la “crowd” del titolo).

In questa massa, che ci viene presentata come un aggregato di parti autonome in continuo collegamento reciproco, si delineano schemi di comportamento individuali e relazionali. Dall’attrazione alla repulsione, dall’inclusione all’esclusione, si va verso il climax di uno scontro collettivo, dove, sfiniti dalla cassa dritta e dal ballo sfrenato, i danzatori svengono, esausti. Quello che Gisèle Vienne mette in scena con il suo spettacolo è l’estensione dei limiti fisici che si prova durante il rituale di un techno party, nonché le innumerevoli possibilità di creare connessioni nel suo contesto, ricalcando modalità alterate del movimento che richiamano alcuni lavori di Michael Gondry, Spike Jonze, e Garth Jennings.

Tutta l’azione si svolge in un unico movimento fluido, modulato benissimo dai performer, nell’ora e mezza di durata dello spettacolo. Fa gioco l’espediente del “movimento al rallentatore”, che riesce a esaltare i dettagli del loro corpo, i rapporti, l’amore, l’aggressività, la gioia… I gruppi si sciolgono in individui, gli individui si spostano e si mescolano di nuovo in assembramenti per confondersi e ricominciare da capo, in un ciclo che disgrega e ricompone la folla.

Tra luci, ombre, suoni e corpi in movimento, quello di Crowd appare come un esperimento di rappresentazione della memoria, la memoria di un recente passato e di una delle culture che lo ha abitato.

Alla fine di tutto, sul palco rimangono due giovani donne che girano a vuoto, all’apparente ricerca di qualcosa. Quando i loro sguardi si incrociano, restano immobili per alcuni minuti, cristallizzate in un gesto di saluto reciproco. Subito dopo le luci si spengono e la cassa svanisce.


Gisèle Vienne – Crowd

ideazione, coreografia e scenografia Gisèle Vienne
con l’aiuto di Anja Röttgerkamp e Nuria Guiu Sagarra
luci Patrick Riou
drammaturgia Gisèle Vienne e Denis Cooper
selezioni musicali a cura di Underground Resistance, KTL, Vapour Space
DJ Rolando, Drexciya, The Martian, Choice, Jeff Mills, Peter Rehberg
Manuel Göttsching, Sun Electric e Global Communication
selezione della playlist a cura di Peter Rehberg
responsabile del sound diffusion Stephen O’Malley
performer Lucas Bassereau, Philip Berlin, Marine Chesnais, Sylvain Decloitre, Sophie Demeyer, Vincent Dupuy, Rehin Hollant, Georges Labbat, Theo Livesey, Maya Masse, Katia Petrowick, Linn Ragnarsson, Jonathan Schatz, Henrietta Wallberg in alternanza con Morgane Bonis e Tyra Wigg

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