Hybris, al Teatro Vascello di Roma, è il nuovo spettacolo (mai) scritto da Antonio Rezza nell’habitat firmato da Flavia Mastrella. La messinscena ha avuto una lunga gestazione, iniziata quattro anni fa, ha cominciato a prendere forma durante la pandemia, fino al debutto in prima nazionale al Festival dei Due Mondi di Spoleto la scorsa estate. Ruota intorno al “limite”, Hybris, concetto sfumato che muta costantemente (nel)lo spazio e che modella le realtà degli otto performer in scena insieme all’attore romano.
La scena è significativamente spoglia, ridotta al solo elemento scenografico di una porta di legno: “impugnata” da Rezza come una pistola in mano a un pistolero, questa è l’unico principio regolatore degli intrecci relazionali, l’indiscusso artefice delle varie realtà che a “colpi di scena” inventa ambienti sempre diversi, ora un’abitazione, ora una clinica, ora un metal detector…
La porta, che viene sbattuta più di un centinaio di volte durante lo spettacolo, ha perso completamente il suo senso funzionale «perché si apre e si chiude sul nulla», ridefinisce freneticamente gli spazi, compone il dentro e il fuori dei vari ambienti: gli altri performer che attraversano la porta ed entrano in relazione tra loro non fanno in tempo ad abitare gli spazi evocati che subito questi vengono di nuovo e improvvisamente ridisegnati, rimodellati e distrutti dai vorticosi imperativi del demiurgo Rezza.
Hybris per gli antichi greci si riferiva alla sfida dell’uomo contro la divinità. In questo caso l’essere umano si è sostituito a Dio e la tracotanza di conseguenza si realizza inesorabilmente nei confronti degli altri uomini.
Solo Rezza decide, infatti, chi può entrare e chi può uscire dalla porta, quale ambiente essa convoca e quale spazio definisce: fascinato dall’onnipotenza della sua immagine, Rezza smonta e rimonta mondi immaginari sotto i nostri occhi, prendendosi gioco di tutto, (in primis del linguaggio, del senso comune, dei concetti razionali e dei valori morali) e di tutti, manovrando i fili dei suoi attori-burattini che si affannano a stare dietro alla sua furia coercitiva e megalomane sbagliando, inciampando, con rassegnazione e disorientamento.
Lo sbattere rumoroso della porta è la tracotanza dell’uomo che si crede più di quello che è, ma sottolinea anche la pesantezza della perdita di senso e di vuoto contemporanei, che hanno ricevuto un rinnovato peso di significato durante la fase della pandemia (periodo nel quale il lavoro ha avuto un notevole slancio creativo): la solitudine, la perdita di punti di riferimento, lo svuotamento di senso, la sospensione delle relazioni in spazi limitati e limitanti… In Hybris Antonio Rezza fa «ciò che ha fatto lo Stato in questi mesi: io decido chi sta da una parte o dall’altra, chi sta dentro e chi sta fuori».
Come al solito, la potenza dei lavori firmati Rezza–Mastrella si traduce in spettacoli che non sono mai ingabbiati in una trama o in una linearità narrativa, ma che sfruttano la straordinaria corporeità ritmica del suo performer per indagare le situazioni (e le posizioni fisiche) ancor prima delle idee, le intuizioni ancor prima delle intenzioni, aprendo al contempo infiniti varchi di senso poetico che riecheggiano nell’immediato e a distanza di tempo.
HYBRIS
di Flavia Mastrella e Antonio Rezza
con Antonio Rezza
e con Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli, Miriam Fricano e con la partecipazione straordinaria di Maria Grazia Sughi
(mai) scritto da Antonio Rezza
habitat Flavia Mastrella
assistente alla creazione Massimo Camilli
luci e tecnica Daria Grispino
macchinista Andrea Zanarini
organizzazione generale Maria Gagliardi, Stefania Saltarelli
produzione RezzaMastrella, La Fabbrica dell’Attore-Teatro Vascello di Roma, Teatro di Sardegna
coproduzione Spoleto, Festival dei Due Mondi
ufficio stampa Chiara Crupi- Artinconnessione