«I riti sono processi di incarnazione, allestimenti corporei. Gli ordini e i valori in una comunità vengono fisicamente esperiti e consolidati. Vengono iscritti nel corpo, incorporati, interiorizzati mediante il corpo. Così i riti creano una conoscenza e una memoria incarnata, un identità incarnata, un legame incarnato.»
Byung Chu-Lan – La scomparsa dei riti
Dal 3 al 12 febbraio 2023 al Teatro Studio di Rovigo è tornato in scena lo spettacolo manifesto del Teatro del Lemming: “Edipo – Tragedia dei sensi per uno spettatore”, con musica e regia del fondatore Massimo Munaro.
Il primo dei quattro del ciclo “Tetralogia sul mito e lo spettatore” a cui si aggiungono “Dioniso e Penteo – Tragedia del teatro”, “Amore e Psiche – una favola per due spettatori”, “Odisseo – viaggio nel teatro” e due Post-fazioni.
Lo spettacolo nasce da una visione “evidente” di Munaro nel 1996 e per tramite dello spazio protetto del laboratorio (modalità produttiva tipica del regista pedagogo nei processi di costruzione spettacolare; si ricorda il workshop “I cinque sensi dell’attore”, attualmente e nuovamente in corso attorno all’Iliade di Omero) compone, con 17 persone e i suoi 5 attori principali, quella che sarà definita un’esperienza da vivere, al limite tra realtà e finzione.
Debutta al “Festival Opera Prima” nel 1997 di cui, insieme al fu Martino Ferrari, Munaro è co-fondatore, riscuotendo un gran successo mediatico; ritorna dopo tre anni di fermo, a causa del Covid-19, all’interno del teatro Studio, sede ufficiale del Teatro del Lemming, per incontrare nuove epidermidi.
Il regista si interroga da 30 anni sugli elementi strutturali del teatro e indaga la natura e l’attualità della sua funzione, giungendo ad atti poetici in cui gli elementi compositivi, riscritti nel loro ruolo, si moltiplicano, si sottraggono e si fondono, ribaltando il punto di vista tradizionale e rifiutando ogni mediazione. Il Teatro del Lemming afferma un credo teatrale e una poetica riconoscibile, nonché antitetica rispetto ai movimenti del teatro italiano in genere.
In particolare, lo spettacolo/evento/manifesto di Edipo – tragedia dei sensi per uno spettatore, seguendo una struttura drammaturgica immutata negli anni, invita lo spettatore a svestirsi del suo ruolo passivo, del tempo ordinario e dello sguardo oggettivo sulla realtà, per essere l’eroe tragico per eccellenza. Non è scontato accettare il patto di fiducia e responsabilità che ne consegue, l’impulso a fuggire potrebbe sorprendere. Ma se accetta, lo “spettattore” sarà il protagonista e il senso stesso dell’intera esperienza.
Mi svesto dei miei gioielli, dell’orologio, del cellulare, del cappotto, sciolgo i capelli e i lacci delle scarpe, lasciando tutto su una sedia illuminata da una candela (elemento che nello spazio rincontrerò e che è sostanza di altre creazioni Lemminghiane) e in apnea alta, su un pavimento freddo, i miei piedi iniziano a brancolare nel buio. L’atmosfera si carica di sacralità e nell’oscurità giungo da una figura femminile, in bianco e con una candela, che mi porge la mano: stringendola accetto il sacrificio. Mi condurrà ad un palmo dall’Oracolo di Apollo, che è insieme Tiresia, da cui riceverò la benda sugli occhi: sono Edipo.
La prossimità con i corpi degli attori è massima, percepiti come presenze, mi incoronano Regina della loro comunità. Sono condotta dentro le azioni di Edipo da partiture di gesto, testo, odore e sapore che svelano una sapienza rituale a cui mi aggrappo. Mi ritrovo catapultata nella confusione dell’inconsapevolezza e nell’enigma dell’identità: chi sono io? Chi e cosa mi muove? Manovrata da forze fuori di me, rifletto – a posteriori – sul destino. La volontà di conoscenza, di vedere, di dare un senso logico, narrativo e sensato, alla realtà o il desiderio ardente di toccare e di piangere a singhiozzi si mescolano alla resistenza e al terrore, sublime, di non sapere cosa possa ancora accadere. Mi abbandono all’errare notturno.
Le scene non seguono la linearità letterale del mito, ma restano fedeli ai personaggi del viaggio, nonché ai simboli e agli archetipi di cui sono portatori. La drammaturgia spaziale è labirintica, l’intertestualità lascia che dialoghino le parole di Sofocle, Proust, Pessoa e Seneca, masticate in dialetto, in prosa e in poesia e tradotti in sussurri e aliti umidi, i quali avvolgono e ingabbiano.
La parola, di per sé finita, si fa vibrazione che rompe il silenzio e convive paritaria con gli stimoli olfattivi, gustativi e tattili. L’esperienza è sinestetica e mi immergo nella vertigine incestuosa del corpo a corpo.
Vivo la soglia tra la finzione e la verità. Perdo l’oggettività e mi affido al sentire e vedere (che in greco aveva la stessa valenza) della coscienza. Vengo trascinata negli episodi del mito, vivo le situazioni da protagonista e riconosco i personaggi del mio viaggio. Mi scontro con la colpa, il peccato, la trasgressione remota, l’eros, l’incesto, mia madre, i miei figli non nati, la culla, la corona, la ninna nanna dell’infanzia, il bacio della buonanotte e la peste. Vedo nitidamente gli altari del sacrificio che, da lì a poco si compirà.
Quando apro gli occhi, verso la fine del percorso, sono nel riflesso di uno specchio e non mi riconosco. È la rivelazione del dubbio e della dualità. Resto nell’immobilità più cruda e desolante mentre appaiono due scelte ai miei lati sotto forma di figure, una nera e una bianca, l’una mi condurrà direttamente all’uscita e l’altra, che scelgo, mi mostrerà la verità della mia Hybris inconsapevole: Laio e Giocasta, i creatori, i genitori, gli Adamo ed Eva che nudi sul letto mi guardano sornioni e mi scacciano via. Come il riflesso allo specchio fugge dalla soluzione: sogno o son sveglio?
Corro verso l’uscita, supero gli angoli e trovo Antigone per l’ultimo doloroso saluto. Il senso del dolore è così vero che rimango in balìa di un abbraccio. Poi l’esilio, poi il ritorno all’ordinario.
Così, l’esperimento di Massimo Munaro di far immergere il comune mortale «nelle acque profonde del nostro mondo interiore» riesce pienamente. La sua indagine archetipica studia lo stimolo e la reazione strutturando una doppia partitura per gli attori e per gli spettatori. I segni teatrali rivestiti di una nuova semantica scenica acquistano lustro e splendore mentre s’intrecciano ai tessuti del corpo, liberando la catarsi.
Un cortocircuito emotivo che sfugge alla comprensione, ma che illumina la propria coscienza sull’enigma eterno dell’esistenza.
Visto il 9 febbraio 2023
Edipo – Tragedia dei sensi per uno spettatore
Teatro Studio, Rovigo
Con Fiorella Tommasini, Marina Carluccio, Alessio Papa, Silvia Massicci, Diana Ferrantini
Musica e regia: Massimo Munaro