«un Amleto che preferisce fallire piuttosto che rinunciare», tesse relazioni tra ricordi biografici e personaggi shakespeariani – Amleto, Polonio, re Claudio, Ofelia – che offrono all’attore la dinamo ideale per sferzare colpi contro la società moderna.
Gianfranco Berardi
Gabriella Casolari avanza verso il proscenio annunciando che lo spettacolo può iniziare. Gianfranco Berardi, appeso in mezzo ai tendaggi aperti di un piccolo sipario, emerge dal buio, crocifisso al teatro.
Inizia così Amleto Take Away della compagnia Berardi/Casolari, spettacolo per cui l’artista pugliese ha vinto nel 2018 il Premio Ubu come migliore attore.
Siamo di fronte a un’ibrida forma spettacolare, in cui l’attore esce ed entra dalla cornice drammaturgica shakespeariana in un continuo gioco meta teatrale: uno spettacolo vorticoso, che avanza per scarti e tentativi, che urla vitalità nella sua scompostezza drammaturgica e attoriale. Berardi, «un Amleto che preferisce fallire piuttosto che rinunciare», tesse relazioni tra ricordi biografici e personaggi shakespeariani – Amleto, Polonio, re Claudio, Ofelia – che offrono all’attore la dinamo ideale per sferzare colpi contro la società moderna.
Il teatro è una croce, dice Berardi all’inizio dello spettacolo, luogo di passioni, ma soprattutto del patire. Il punto di partenza è tornare a fare i conti con il dolore, «ripartire da quello che sentiamo, non da quello che vediamo», perché quello che si presenta ai nostri occhi sono immagini fasulle di selfie alienati e tutti uguali, frasi e concetti ridotti a slogan pubblicitari, «l’amore è uno yogurt da mangiare a Natale»: siamo tutti persi, dispersi nel frastuono frenetico delle tecnologie digitali, dis-tratti, separati, riluttanti al contatto fisico, assuefatti all’olezzo putrescente dell’ipocrisia mediatica e culturale, compressi in un linguaggio frammentato e tecnicista, «schiacciati come falene» nel frenetico ritmo quotidiano che non lascia tempo, asfissiati in un presentismo raso terra che non lascia spazio. La nostra vita take away ha un problema di vista. Dove dirigere lo sguardo?
Con l’aiuto di una panca che può trasformarsi ora in croce ora in amante e accompagnato da Gabriella Casolari, (qui servo di scena e anche drammaturga e regista) sempre pronta a intervenire nei momenti chiave dello spettacolo, Amleto/Berardi si prende il tempo per ricordare e chiedersi: «Come sono arrivato fin qui?».
Il ritmo dello spettacolo si distende e l’attore ripercorre il suo vissuto raccontando il rapporto con il padre operaio dell’Ilva, figura ora amorevole ora imperscrutabile, fino all’episodio della scoperta della Leber, la malattia per cui l’attore ha perso la vista all’età di diciannove anni. Evento cruciale a cui è legata indissolubilmente la sua vocazione artistica: «Non avrei mai preso la strada del teatro se non avessi perso la vista».
Berardi rivendica con forza la scelta del teatro, per «infuriare contro il morire della luce», per dirla con Dylan Thomas, per trovare un’intimità umana contro il dilagare pornografico della mostra del sé, per coltivare l’ascolto e l’attenzione, per ripartire da zero.
Esserci, quindi. Con tutto il corpo. Con tutto se stesso. E di fatto Berardi solca il palcoscenico (e la platea) con tutta la sua furente energia, la sua sincera ironia, la sua vitale chiassosità: gioca con il pubblico, libera risate, scompone le parole, inveisce e smaschera le ipocrisie della società fino ad arrivare al culmine con il famoso monologo amletico, qui trasformato in «To Be o FB. Questo è il problema». Essere o apparire è il dilemma contemporaneo che ri-guarda tutti. Vivere o mostrarsi per quello che non si è, e quindi mostrificarsi, mentirsi, tradirsi, allontanarsi da sé. «Mentire, tradire. E di colpo si è soli», sussurra Gabriella Casolari a canone insieme a Gianfranco Berardi.
Allora se «il sogno è l’unico senso reale» rimasto, può l’immaginazione ricucire il tessuto scomposto e sfilacciato delle relazioni e rompere il sortilegio della solitudine?
La compagnia Berardi/Casolari saggiamente non risponde, ma si affida ciecamente allo strumento del teatro, luogo della presenza e del contatto immediato, croce e «miracolo di complicità» relazionale.
AMLETO TAKE AWAY
di e con Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari
Musiche Davide Berardi e Bruno Galeone
Luci Luca Diani
Produzione Compagnia Berardi Casolari / Teatro dell’Elfo
Con il sostegno Fondazione Luzzati Teatro della Tosse, Emilia Romagna Teatro Fondazione, Festival di Armunia Castiglioncello, Comune di Rimini-Teatro Novelli
Si ringraziano César Brie, Eugenio Vaccaro, Il Teatro del segno di Cagliari, Sementerie artistiche di Crevalcore (BO)