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BROS, un lavoro antropologico sull’obbedienza

I primi giorni di gennaio, tra le e-mail recapitate alla redazione delle Nottole, ne è comparsa una un po’ anomala. Venivano richiesti 23 figuranti, maschi, di qualsiasi etnia o età, purché maggiorenni, altezza compresa tra 175 e 185 centimetri, anche senza esperienza o professionalità specifica in ambito teatrale. I candidati dovevano inoltre avere capelli corti e barba rasata e, se possibile, portare i baffi. La richiesta era per lo spettacolo BROS di Romeo Castellucci, andato poi in scena al Teatro Argentina dal 10 al 12 marzo 2023. Nessuna di noi, per problemi di incompatibilità, ha potuto rispondere alla chiamata, ma per curiosità, e dovere di cronaca, siamo andate a vedere lo spettacolo.

Per comprendere meglio Bros, è opportuno spendere due parole sulla sua genesi. Il fattore scatenante, l’ispirazione primaria, è venuta a Castellucci nel 2018, quando venne colpito dal massiccio dispiegamento di forze dell’ordine durante le proteste francesi dei gilets jaunes. Decide così di mettere in scena un esperimento, lavorando con persone comuni, reclutate attraverso un appello, come quello consegnato anche a noi.
Alle persone che hanno accettato di partecipare, consegna un codice comportamentale, con regole tipo “Sono disposto a diventare un poliziotto in questo spettacolo” o “Sono disposto a eseguire tutti gli ordini per essere un vero poliziotto”, ma anche altre meno comprensibili, più evocative, come “Eseguirò gli ordini come una statua classica, anche se non capisco questa frase” o “Eseguirò gli ordini come fossi ferro-cianuro di potassio, anche se non capisco questa frase”. A chiudere questo regolamento, un lapidario “L’esecuzione degli ordini sarà la mia oblazione, il mio teatro”.

L’intenzione di Castellucci è quella di mettere in piedi uno spettacolo in cui la

“recita coincide con la vita che accade in quell’esatto momento. La parte non è più da preparare, solo da verificare. Nessuna improvvisazione, bensì il baratro di un presente assoluto”.

Infatti i figuranti vengono “attivati” pochi minuti prima di andare in scena, quando viene consegnato loro un auricolare e una divisa da poliziotto americano anni ’50, senza che essi abbiano mai né letto né provato la parte. In quel momento sono un gruppo di uomini anonimi, che riceve ordini in tempo reale, portati, dalla situazione, ad agire senza poter valutare preventivamente le proprie azioni.
La loro coscienza si ferma per sperimentare l’esperienza dell’alienazione governata da una dittatura invisibile”, chiosa Castellucci. Questa condizione, lungi dall’essere un’improvvisazione costruttiva, o una delega alla spontaneità, schiaccia il tempo della consapevolezza fino al grado zero. L’attore diventa egli stesso spettatore inerme dello spettacolo, non sa dove andrà, non sa cosa farà.

Lo spettatore è coinvolto nel gioco delle regole, le conosce, gli vengono fornite. Prima di entrare in sala, infatti, le maschere distribuiscono dei grossi fogli A5 neri, su cui sono riportati dei versetti della Bibbia, tratti dal Libro di Geremia, e l’“indice comportamentale consegnato a ignari partecipanti”, il codice delle norme.

Lo spettacolo si apre con una danza di macchine da presa che ruotano su se stesse, emettendo un rumore simile a quello di una mitragliatrice. La scena è spoglia e fredda, immersa nell’impenetrabile oscurità di un pozzo senza fondo. La prima figura umana a comparire, sottolineata da un occhio di bue, è un signore molto anziano, con una veste di tessuto grezzo e un bastone. Puntato il bastone un po’ verso il cielo un po’ verso il pubblico, recrimina e si dispera, invocando la divinità. Le sue parole sono incomprensibili, ma ricordano i passaggi della profezia di Geremia trascritti sul libretto di scena.

Riaccese le luci di scena, un gruppo di poliziotti appare sul palco. Sono gli attori/non attori, gli sconosciuti che recitano senza aver mai provato assieme, che vengono guidati da ordini impartiti tramite auricolare, provenienti da una “matrice dei comandi”. Sul palco si mette in scena la tragedia di un meccanismo misterioso e potente che ha trasformato gli uomini in automi, sottoposti a una volontà superiore, costretti a eseguire gli ordini senza fare domande. “Non decisioni, ma esecuzioni. In un tempo strozzato”.

Quello che si muove davanti agli spettatori è un corpo unico, da cui ogni tanto si staccano degli individui. Questa massa umana si inginocchia, si getta un liquido rosso sul viso, cattura un compagno, lo spoglia, lo lega. Le azioni non sembrano affatto improvvisate, tanto che gli sporadici tentennamenti sembrano provocati più dalla crudeltà del contesto che dalla mancanza di preparazione. Raramente si nota una stonatura, che comunque appare sempre come reazione a un carico emotivo: quando uno degli aguzzini inizia a manganellare un uomo nudo sull’assito, si percepisce imbarazzo, e affiora dai corpi e dalle espressioni la fragilità della vittima e del carnefice.

I richiami alla Seconda Guerra mondiale, e in particolare ai nazisti del Terzo Reich, sono numerosi: i figuranti si trasformano in un plotone di esecuzione e sparano, imbracciando armi giocattolo, torturano con la tecnica del waterboarding, compiono un pestaggio in piena regola con un manganello, inneggiano di fronte a una bambola meccanica, che costituisce forse il simulacro di un dittatore. Infine, scendono dal palco per circondare gli spettatori seduti in sala, facendoli tremare di fronte a un enorme, tremendo, inconscio collettivo, votato al male e alla distruzione. Alla fine dello spettacolo, compare un bambino, vestito con gli stessi stracci che indossava l’anziano comparso all’inizio.

Una menzione speciale al Pastore Tedesco che in mezzo ai rumori e alle luci stroboscopiche ha mantenuto la calma per tutto il tempo. Il dubbio che fosse sordo ha accompagnato molti spettatori sulla via del ritorno.


BROS

concezione e regia Romeo Castellucci
musica Scott Gibbons

collaborazione alla drammaturgia Piersandra Di Matteo
assistente alla regia Silvano Voltolina
scrittura degli stendardi Claudia Castellucci
con Valer Dellakeza e con gli agenti Luca Nava, Sergio Scarlatella
e con Giovanni Antonini, Filippo Braucci, Sandro Calabrese, Sergio Casini
Davide Cherstich, Nicola Ciaffoni, Marcello Di Giacomo, Stefano Donzelli, Gabriele Ferrara
Francesco Gentile, Damjan Gomisel, Pietro Lancello, Alessandro Mannini
Mauro Mercatali, Michele Petrosino, Lorenzo Picca, Danilo Rubcich
Nicolas Sacrez, Piergiorgio Maria Savarese, Fabio Sinnona, Carlo Suppressa
Andrea Vellotti, Vincenzo Vennarini, Luigi Vilotta e con il piccolo Filippo Fermini

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