Marco Paolini | ANTENATI, the grave party

I fili del tempo di Marco Paolini

Come si possono affrontare le sfide del presente?
Come possiamo oggi far fronte alle allarmanti premesse del futuro che ci attende?
Probabilmente rivolgendosi al passato, alla storia, anzi alla preistoria, cercando negli antenati di ognuno di noi quel gene comune, quel filo che da più di cinquantamila anni ci ha condotti fin qui, affrontando di volta in volta sfide diverse, vicissitudini, crisi climatiche ed un’inevitabile evoluzione.

Marco Paolini, nel suo nuovo spettacolo Antenatithe grave party, andato in scena al Teatro Vascello di Roma dal 14 al 19 marzo 2023, immagina proprio questo: una riunione di famiglia con i suoi quattromila predecessori, per un totale di ottomila antenati, tra nonni e nonne, radunati insieme nella laguna veneta intorno a una catasta di oggetti, una piramide di roba vecchia che nel tempo è stata buttata via in una discarica a cielo aperto, sul cui vertice troneggia monolitico un frigorifero bianco di marca “ignis” (che in latino, paradossalmente, vuol dire “fuoco”).
In questa chiassosa e stravagante riunione familiare Paolini si interfaccia con i propri predecessori, chiede loro consiglio sul futuro della specie che si trova a rischio di estinzione per i catastrofici mutamenti climatici di origine antropica.

«L’ho presa alla lontana», esordisce Paolini, partendo da cinquantamila anni fa, da quando per la prima volta i nostri antenati, nomadi, si sono mossi per la prima volta dall’Africa alla ricerca di posti nuovi e di luoghi inesplorati, spesso inospitali. Questo viaggio non è altro che una metafora di una “metamorfosi”, ovvero il percorso complesso ed intelligente che l’essere umano ha dovuto affrontare per sopravvivere non solo a catastrofi ambientali, o mutamenti climatici, ma anche a evoluzioni fisiche e culturali.

Questo percorso diventa netto quando i vari antenati, dai più recenti ai più remoti, rimangono abbagliati da quello che la modernità e l’uomo contemporaneo sono riusciti a realizzare. Si meravigliano per un telefono, o anche semplicemente per una fotografia, si eccitano per lo shopping al centro commerciale e per un aereo che li sorvola nel cielo. Nessuno di loro sembra preoccupato, ma neanche consapevole, di come l’ultima generazione abbia prodotto più Co2 dell’intera somma di tutte le generazioni della storia umana.

L’intenso e composito monologo nato dall’esperienza del lockdown è un corpo polifonico in cui si alternano temi drammatici a momenti di delicata ironia, tenuti insieme dalla maestria narrativa di Paolini.

«Narrare significa affermare il tempo», direbbe Gabriele Vacis, perché la narrazione è conferma del passato e del futuro, nonché riappropriazione di senso del presente. Affidare, quindi, alla narrazione il nostro corredo di parentele e di fili congeniti per riconciliarsi con il passato, è la via tracciata da Paolini per poter costruire un futuro.

Così le tre domande ontologiche dell’essere umano “chi siamo?, donde veniamo? e dove andiamo?”, tessono le fila di un processo tutto umano, come sempre imprevedibile ma tutto da giocare; e se i nostri antenati non possono fornire soluzioni immediate ai problemi cogenti del tempo contemporaneo, confidarsi e affidarsi al nostro tessuto connettivo sembra portare con sé la soluzione e la salvezza. «Nessuno di noi è solo uno, nessuno è uno solo uno, io sono fili e non dati, fili, fili, fili…», chiosa Paolini, danzando sulla musica di Fabio Barovero e convocando tutti al gioco bellissimo del teatro, un grave party, un festoso abbraccio liberatorio con i nostri morti.


Antenati-the grave party

Di e con Marco Paolini
Musiche Fabio Barovero
Luci Michele Mescalchin
Fonica Piero Chinello
Direzione tecnica Marco Busetto
Produzione Michela Signori, Jolefilm

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