Il Così è (se vi pare) di Geppy Gleijeses, in scena al Teatro Quirino dall’11 al 23 aprile, incarna un lavoro minuzioso di grande professionalità e in linea con le correnti attoriali più tradizionali. Il testo di Luigi Pirandello, ancora pregno di implicazioni, avverte sulla futilità delle opinioni e sul loro mutare al soffiare del vento.
La messa in scena si apre con quanto la brochure promette: otto ologrammi in due dimensioni, privi di consistenza corporea, piccoli, si agitano cincischiando proiettati su altrettanti ventilatori. La realizzazione dell’artista visuale Michelangelo Bastiani comunica un certo relativismo caricaturale, che suscita, in chi guarda, lo stesso moto di riso amaro e imparziale tipico sia del protagonista, Lamberto Laudisi, interpretato da Pino Micol, che della mente creativa di Pirandello. Le vicende, di infimo e crudele parassitismo provinciale, narrano le confabulazioni di un vicinato in seguito all’arrivo in loco di una misteriosa famiglia. A partire dai racconti reciprocamente incompatibili della signora Frola e del signor Ponza, rispettivamente Milena Vukotic, felicemente applaudita, e Gianluca Ferrato, si dà vita a un irrisolvibile attrito che sonda le basi del sapere e mette in crisi il tessuto conoscitivo e linguistico che soggiace alla nostra esistenza quotidiana.
A parte il primo quarto d’ora, lo spettacolo si svolge in modo tradizionale.
La scenografia di Roberto Carea, in accordo con i continui “per me” dei personaggi, è espressione di una drammaturgia dell’inesattezza e della relatività: molti specchi verticali, in secondo piano e ad altezza uomo, generano in virtù delle loro angolazioni un particolare gioco di riflessi reciproci e interni.
Grazie al lavoro sulle luci di Francesco Grieco, prende forma il mondo dei “fantasmi”, intesi non in senso spettrale ma psicologico: necessari doppi di ogni individuo, godono di vita propria e cambiano natura in base allo sguardo che si posa su di loro.
Esistono solo fantasmi, e la verità è dura a venir fuori.
Solo alla fine essa appare, in veste di donna: tre attrici, in un gioco di bui dislocati, prestano voce e corpo al personaggio. Piuttosto che risolverla, la donna lascia in sospeso la questione, rivelando al pubblico che le diverse declinazioni sono tutte valide, in un eterno e immobile paradosso.
Emerge soprattutto l’insensibilità causata dalla ricerca dissennata della verità, che finisce inevitabilmente per calpestare la dignità umana, assai più reale di qualsiasi formulazione teorica.
Nella tempestiva rapidità con cui i pensieri cambiano e gli animi si infatuano si può leggere l’attualissima suggestionabilità di un pubblico che vive sempre più di notizie e di astrazioni linguistiche, piuttosto che di verità radicate e di attività d’animo. Lo strascico e il susseguirsi di informazioni propulsive ricordano i tempi della pandemia, dove a ogni verità lasciava subito posto un’altra, uguale per pretese quanto contraria per fattualità.
La manipolazione dell’informazione e la mancanza di riguardo verso un uditorio fluido e malleabile ricordano le celebri urla di Carmelo Bene al Maurizio Costanzo Show del 1994. Fischiato quanto applaudito, diceva:
«La stampa non informa mai sui fatti. La stampa informa i fatti».
Così è (se vi pare)
regia Geppy Gleijeses con Gitiesse Artisti Riuniti, ovvero Milena Vukotic, Pino Micol, Gianluca Ferrato, Maria Rosaria Carli, Massimo Lello, Stefania Barca, Marco Prosperini, Antonio Sarasso, Roberta Rosignoli, Vicky Catalano, Walter Cerrotta, Giulia Paoletti. scene Roberto Crea costumi Chiara Donato musiche Teho Teardo light designer Francesco Grieco videoartist Michelangelo Bastiani aiuto regia Giovanna Bozzolo