Col linguaggio colorato e spumeggiante di Annibale Ruccello, Le cinque rose di Jennifer, al Teatro Vascello dal 12 al 16 aprile, narra con caparbia tragicità e leggiadra superficialità il male interiore di Jennifer, travestito napoletano in preda all’euforia per ogni insignificanza e categoricamente incapace di vivere la propria presenza.
I fratelli napoletani Gabriele e Daniele Russo confezionano uno spettacolo degno di nota.
L’ambiente rimane il medesimo per tutto il tempo: l’appartamento finemente arredato di Jennifer. Altrettanto vale per i personaggi, solo due, il protagonista e Anna, fantasma che si aggira per il palco e travestito a sua volta. Tutto è già in scena, e le situazioni non cambiano molto dall’inizio alla fine. Inizialmente solo Jennifer è in scena, dopo un po’ anche Anna: nient’altro. Sono la capacità propulsiva degli oggetti e il tessuto vitale dell’appartamento che concedono allo spettatore di sentire raramente momenti di sospensione, pur in questa apparente immobilità: un telefono che squilla, una radio che parla, un baule pieno di vestiti, la tovaglia dell’unico tavolo sulla sinistra che si rivela anch’essa un vestito, una postazione per il trucco, vari oggetti che vengono lanciati per aria. Questi gli elementi che dialogano di continuo in una dinamicità che seda le potenziali stasi e restituisce un habitat realmente vivo. La recitazione magistrale di Daniele Russo e la sapiente scrittura scenica di Ruccello permettono al testo, con pochi elementi, di tenersi esemplarmente in piedi.
Rosa è il colore dominante, di sicuro nella scena di Lucia Imperato, e in buona parte, anche, nei costumi a cura di Chiara Aversano. Figurarselo, un ambiente rosa fino al midollo, con dentro un travestito schizzato che segue senza sosta gli stimoli del suo ambiente e della sua emotività saltellante, sempre tirando parolacce e sciorinate in napoletano rende assai bene la qualità della situazione. Ovviamente si ride.
Le risate, tuttavia, se dovrebbero essere amare per la tragicità della condizione particolare del povero protagonista, un po’ alla maniera de La vecchia imbellettata di Pirandello per intendersi, a volte non ci riescono, tanto la vicenda solletica la pancia: anche nei momenti di maggiore pathos e pericolo, o tristezza, Ruccello inserisce efficaci momenti di farsa. L’ipocrisia e il paternalismo sono veramente a un livello trascurabile, e in uno spettacolo con protagonista un transgender, nei tempi che corrono, è veramente un merito. Più del regista che dell’autore: il secondo scriveva in tempi in cui certi moralismi non erano così di moda, mentre nella messa in scena difficile era non peccare di banalità. Evidentemente la scelta del testo è stata per amore dello stesso, e non per l’insipida necessità di utilizzarlo come ponte per dire qualcos’altro.
Dunque, di cosa si parla? Jennifer, in casa sua, attende una telefonata da tale Franco, che mai si vede né si sente, mentre ne riceve continuamente altre da sconosciuti o vicini che sbagliano numero; sullo sfondo tematico, invece, un assassino di travestiti si aggira per Napoli, e qui risiede l’elemento di suspence. Franco è un uomo di cui il protagonista, lascivo e spigliato, si è perdutamente innamorato, finendo per divenire il suo unico appiglio in una vita di profonda solitudine e insoddisfazione. La netta opposizione tra la tristissima miseria della vita di Jennifer e il suo oltremodo entusiastico tentativo di infiocchettarla costituisce il tema emotivo del testo. Sempre pervaso di una raggiante allegria e di emozioni esagerate, l’uomo nasconde in realtà un dramma interiore di rara gravità. Una solitudine assoluta che per contrasto genera un’ostentazione infinita. I rari momenti di verità disturbano per l’infuso di pura nerezza che mostrano. Eppure, ancora una volta, tutto questo è reso senza moralismi, tanto che uno spettatore poco accorto potrebbe scambiare questa tragedia per una commedia.
Le cinque rose di Jennifer è uno spettacolo originale che funziona. Non spicca per la presenza di grandi temi né per maestosità, ma nel suo relativo universo vive e si muove con un proprio autentico impulso. La recitazione eccellente di Sergio Del Prete e di Daniele Russo, specialmente di quest’ultimo, nel quasi assolo nella prima parte comprendente telefonate, interazioni con la radio, uso di trucchi e movimento, conferiscono al testo un grande valore fattuale. Il lavoro nel complesso è una grande dimostrazione di talento professionale, mentre il tema colpisce per verità e tragica intransigenza. Un’attesa talmente disperata che si direbbe che alla fine questo Franco Jennifer se lo costruirà con martello e scalpello, o con la forza del pensiero. Invece no, si spara.
Le cinque rose di Jennifer
di Annibale Ruccello
regia Gabriele Russo
con Daniele Russo e Sergio Del Prete
scene Lucia Imperato
costumi Chiara Aversano
disegno luci Salvatore Palladino
progetto sonoro Alessio Foglia
produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini