Di Chiara Alessandro
«Non racconti una storia solo a te stesso. C’è sempre qualcun altro, anche quando non c’è nessuno» sosteneva Margaret Atwood nel suo celebre romanzo The Handmaid’s Tale.
E interrogarla nuovamente molti anni dopo la scrittura del romanzo è l’atto più stimolante – e contemporaneamente controverso – che possa prendere forma in una pièce teatrale.
Tratto da un adattamento radiofonico, con la consulenza letteraria di Loredana Lipperini e la traduzione di Camillo Pennati, Il racconto dell’ancella, in scena al Teatro Basilica dal 13 al 16 aprile e interpretato da una catalizzante Viola Graziosi al centro della scena, sfrutta la transmedialità della narrazione riportando in analisi questioni socialmente dibattute – sessualità, maternità, sottomissione e utilizzo del corpo in una funzione politica – integrando la solidità del racconto con l’immaginazione stimolata dall’utilizzo della voce: tutto scandito ritmicamente in funzione del corpo, che si veste di rosso come il codice richiede e si sveste simbolicamente del ruolo di donna e ancella nello sdoppiamento d’identità che accomuna le due visioni di femminile in questo universo narrativo.
Lo spettacolo pone l’accento sulla narrazione di una storia – rivolta a un Voi universale – che attraversa i decenni rinascendo dalle ceneri dell’omonimo racconto originario e tracciando un percorso lineare tra il passato, il presente e il futuro dell’opera stessa. The Handmaid’s Tale, il cui titolo tradotto è Il racconto dell’Ancella, in uno spazio scenico semplice e funzionale individuato da pochi oggetti – menzione speciale al cappello bianco simbolo dell’ancella che fa da connettore simbolico all’immaginario del romanzo – fa emergere l’elemento più importante: il corpo nella sua materialità estetica che si incastra e si scontra in un percorso in cui l’esperienza privata della singola ancella confluisce nella dimensione collettiva: un eterno ritorno in chiave distopica di cui il racconto si serve per inscenare la contaminazione del dolore, elemento più forte di connessione umana.
Se il dolore è il motore dell’evoluzione umana, non c’è da stupirsi se le ancelle, che rappresentano le prescelte private di ogni tentazione terrena, sono strumento di velleità per una gerarchia sociale di uomini che decide, giudica e condanna aldilà di una colpa inesistente delle ancelle stesse.
E la bravura di Viola Graziosi, la voce narrante, diretta da Graziano Piazza, si muove tra la rappresentazione di una storia e l’identificazione personale con la profondità di ciò che avveniristico – se paragonato alla nostra falsa modernità – non è.
Discutere sul ruolo delle donne e la loro libertà, segna un punto di snodo nella pièce – la storia fuoriesce dalla funzione di racconto e convoca lo spettatore a una partecipazione riguardo ai problemi etici che lo spettacolo mette nuovamente sul tavolo ridiscutendone le carte – il racconto dell’ancella come testimonianza di un cambiamento che tarda a manifestarsi, di un mancato riconoscimento nelle pratiche subordinate alle donne, la cui funzione sociale di madri non è intesa come eventualità ma unicamente come adempimento procreativo, un chiaro gioco di oggettivizzazione dei corpi.
Il racconto dell’Ancella pone, dunque, l’accento sulla simbologia del femminile, che negli occhi di Viola Graziosi, porta l’abbaglio di un futuro senza presente. Con una recitazione dalle movenze profondamente espressive, l’attrice pone dei quesiti fondamentali sulle nuove forme di gestione del potere e sulla rivendicazione di un cambiamento di cui, inevitabilmente, facciamo parte. A partire dalla riflessione del romanzo distopico di Atwood, lo spettacolo sottolinea l’importanza di comprendere i processi sociali e non soltanto di viverli passivamente.
Il racconto dell’ancella
consulenza letteraria di Loredana Lipperini tratto dal romanzo di Margaret Atwood ‘‘The handmaid’s tale’’ ,traduzione di Camillo Pennati per Ponte alle Grazie regia Graziano Piazza con Viola Graziosi musiche originali Riccardo Amorese produzione Teatro della Città