La narrazione di un viaggio: trovarsi dopo tante peripezie in un nuovo paese e prepararsi a una nuova vita. Il Teatro Trastevere porta sulla scena romana, il 26 e 27 Aprile, Ismael, di e con Massimiliano Frateschi, con la regia di Graziano Piazza e la partecipazione di Mübin Dünen, una produzione LaGabbiaTeatro.
Tre sedie. Una macchinetta per l’erogazione di numeri di attesa e uno schermo che segna il succedersi dei turni. Una musica mediorientale risuona da un angolo del palcoscenico. Ismael entra in scena dalla tenda accanto alla platea, pian piano, guardandosi attorno. Sale sul palco, si siede, e inizia il suo racconto, parlando delle preghiere che la madre gli ha insegnato. Si rivolge a un interlocutore immaginario, un dipendente dell’Ufficio Immigrazioni, location dell’intero spettacolo.
Ismael, il cui nome significa “profeta”, è siriano, ma parla con intercalare romanesco, pur mantenendo il suo accento; ricorda con amara ironia il suo passato, ripercorrendo l’arrivo in Italia e le tante difficoltà affrontate lungo il percorso. Il protagonista paragona il suo viaggio a quello di Gesù, figura che ha sempre sentito nominare fin da piccolo, da quando sua madre prevedeva che un giorno sarebbe partito per un altro paese. «Io mi chiamo Ismael e so’ abusivo»: si presenta così il giovane, schiettamente, spiegando poco dopo di essere nato non lontano da Damasco. E improvvisamente il pubblico è compagno di viaggio di un ragazzo che non sa più nemmeno se i suoi parenti sono vivi o morti sotto le bombe.
La paura della solitudine è il sentimento predominante, seppur celata dal semplice sdrammatizzare di Ismael. Nel corso dello spettacolo veniamo a conoscenza delle persone più importanti della sua vita: sua mamma, dal nome che significa “colei che si sacrifica”, figura ricorrente dalle prime battute fino alla fine della messa in scena, suo fratello Adnan, con cui ha condiviso le sofferenze della prigionia, la sua prima fidanzata, morta poco dopo essersi sposati.
Ma Ismael racconta tutto con gentilezza e ironia, strappando tanti sorrisi al pubblico e tentando di strapparli al dipendente dell’Ufficio Immigrazioni – interlocutore invisibile e silente e di fatto simbolo dell’indifferenza di tanti -, cercando di sdrammatizzare senza nascondere però la sua sofferenza.
All’epoca di suo padre, prima della Guerra del Golfo, la religione non era motivo di guerra, era solo un «connotato, come il colore dei capelli», ci tiene a precisare. Sono stati tanti gli ostacoli da superare per arrivare in Italia: la fuga da Damasco, i giorni passati in carcere, il timore di essere rimandato indietro una volta arrivato a Roma per mancanza di documenti. E doversela cavare, ormai da solo. Un elemento spesso presente nelle parole di Ismael è il mare: quel «mare che significa mare», filo che lega tanti luoghi della vita del giovane siriano, e che è sempre blu, sia in Italia, in Grecia o in Egitto.
Massimiliano Frateschi, interprete unico dello spettacolo – un monologo che vorrebbe farsi continuamente dialogo – si immedesima perfettamente, con corpo e voce, nel suo personaggio, diventando totalmente Ismael. Frateschi entra in scena direttamente dalla platea, creando una relazione verbale e fisica con lo spettatore, come se quest’ultimo rappresentasse la folla in fila all’Ufficio Immigrazioni. Dopo essere salito sul palco, rimane seduto su una sedia per l’intero spettacolo, alternando momenti di maggior compostezza, ad altri di tensione, rivolgendosi all’impiegato con l’appellativo romanesco “zi’”. Le espressioni variano dalle più canzonatorie, quando prova a far divertire il suo interlocutore, alle più serie e drammatiche, quando racconta passi dolorosi della sua storia, non celando la sofferenza data dalla lontananza dei suoi cari. L’impiegato con cui sta parlando non è presente fisicamente, ma viene facilmente immaginato, dall’andamento del discorso, dalle risposte e dalla varietà dei toni usati da Massimo Frateschi.
Egli rivela, a fine spettacolo, di essere partito da un fatto realmente accaduto, a lui vicino. Una storia attuale, commovente, ricca di emozioni dolci e amare, che catturano lo spettatore; lo spettacolo si offre altresì come riflessione sulla situazione di tanti giovani, che ogni giorno lottano e affrontano una realtà simile a quella del protagonista. Le musiche tipiche, eseguite dal vivo con strumenti e voce da Mübin Dünen, si spandono soavi fin dall’ingresso in sala, accompagnando diversi momenti della vicenda, e immergendo il pubblico nell’atmosfera dei deserti che Ismael ha dovuto attraversare: lo spettatore condivide insieme al protagonista il viaggio in un mondo non poi così lontano.
ISMAEL
di e con Massimiliano Frateschi regia Graziano Piazza aiuto regia Aleksandros Memetaj produzione LaGabbiaTeatro foto Bianca Hirata grafica Valeria Veneziani musiche dal vivo Mübin Dünen