Le 30.000 persone scomparse sotto il governo del presidente argentino Jorge Rafael Videla tra gli anni ’70 e ’80 costituiscono il punto di partenza di un testo che indaga il potere manipolativo dell’informazione nei regimi dittatoriali, nel tentativo di illuminare l’ambiguo rapporto che sussiste tra la verità e il racconto che ne viene fatto.
Ad Argot Studio va in scena Profondoblù di Francesca Fedeli, spettacolo selezionato da Nest – Napoli Est Teatro nella cornice di Over / Emergenze teatrali, rassegna teatrale pensata per valorizzare il lavoro di giovani artisti emergenti nel territorio romano e napoletano.
Un telo bianco sul fondo e una luce blu; due attrici. Giulia Piscitelli è una giornalista italiana che si ritrova in una stanza misteriosa; Francesca Fedeli, autrice e regista, è Nina, figura enigmatica che si aggira guardinga tra la moka, il peluche rosa di un cane e una multipresa posata a terra.
Fuori dalla sala, un tavolo rovesciato in fretta e furia con piatti frantumati e una tovaglia bianca introduce gli spettatori alla vicenda. Dentro, i primi minuti sono di taglio poliziesco: nel buio, una torcia in mano a una donna in fuga illumina freneticamente un ambiente incerto fatto di suoni minacciosi, scorci mal definiti e l’abbaiare rabbioso di cani fuori scena.
Nel ring tematico di una scena cosparsa di oggetti privi di senso logico e pregni di senso poetico, che tocca l’apice con un peluche parlante, due giornaliste, una italiana e l’altra sudamericana, si scambiano vicendevolmente impressioni su fatti e misfatti del governo-dittatura di Videla, rivelando ciascuna la propria impostazione. L’ignoranza di chi non vive le cose in prima persona ma è abitato dall’urgenza di raccontarle si scontra con l’esperienza concreta di chi nelle vicende è invischiato a morte.
Nina, personaggio in apparenza poco loquace, rivela al doppio europeo la pervasività di un regime che si esplica innanzitutto attraverso la parola, e confonde il fatto con il detto. «Presidente» oppure «Dittatore»? «Governo» oppure «Regime»? «Giornalista» oppure «Sovversivo»?
Sono questi i termini di una dialettica che si basa sulla capacità che hanno le parole, e dunque le idee, di infiltrarsi nel sentire comune non perché vere o rappresentative, ma per via di una confusione linguistica perpetrata deliberatamente. «Quel popolo che ha inventato la parola “carità”, e l’ha usata in senso buono, ha inculcato il precetto “sii caritatevole” molto più chiaramente ed efficacemente di qualsiasi legislatore», diceva David Hume negli Scritti di estetica. Proprio qui sta il ruolo del giornalismo propagandistico, i cui effetti potevano essere indagati anche senza andare così lontano nel tempo o nello spazio, essendo le sue manifestazioni presenti ormai, più o meno marcatamente, ovunque.
«Puntami la moka», chiede Nina a un certo punto, seduta su una poltrona. Dopo una certa dose di perplessità, la reporter alza la macchinetta e il suo atteggiamento cambia radicalmente. L’oggetto si carica di valore simbolico e come una pistola, o un anello tolkieniano, le fa conoscere l’agevolezza con cui il potere si impossessa dell’individuo, mostrandole senza veli le proprie posizioni morali. Fino a poco prima difendeva i diritti di chi adesso minaccia con occhi fissi e voce ferma: «Tu non sai io chi sono io. Ti mando in galera.». La moka cade e la gag finisce, ma l’atto, come le oppressioni denudate del teatro di Harold Pinter, rivela qualcosa sulla fragilità delle pose morali che adottiamo, infatuati da astrazioni e amor proprio.
Il testo, come tutti i testi, oltre che mostrare un contenuto mostra anche le tensioni che lo attraversano, pone questioni morali irrisolte e riproduce in miniatura i meccanismi che intende denunciare.
Profondoblũ è uno spettacolo dalla compiutezza scenica, il cui funzionamento drammaturgico si dispiega senza intoppi e che si distingue per capacità di scrittura. La povertà del suo allestimento fa emergere la validità della componente attoriale e la solidità dell’impianto generale, mentre le trovate registiche suggeriscono uno studio che tenta di andare oltre la superficie delle cose. Il finale si impernia sul ricordo delle vittime del regime, con una serie di foto appese e un monologo dell’autrice sull’importanza di chiamare le cose con il proprio nome. I morti e le bugie rimangono, che si chiami dittatura, democrazia, governo o consiglio, poco cambia.
PROFONDOBLŨ
testo e regia di Francesca Fedeli
con Francesca Fedeli e Giulia Piscitelli
assistente alla regia Salvatore Testa
disegno luci Sebastiano Cautiero