All’interno di CONGIUNZIONI, primo movimento – Piccolo progetto di ricognizione delle arti sceniche contemporanee a cura di Fabio Biondi, 5 fotogrammi per Bernardo Bertolucci di Ermanna Montanari e Marco Martinelli va per la terza volta in scena a Roma il 12, 13 e 14 maggio al Teatro Basilica dopo il debutto nel 2021 alla Milanesiana su commissione di Elisabetta Sgarbi.
La suggestione di partenza che ne definisce la struttura proviene dal testo Il mistero del cinema, redatto dallo stesso Bertolucci nel 2014 in occasione della laurea honoris causa ricevuta dall’Università di Parma all’interno del Teatro Regio. All’interno del libro edito da La Nave di Teseo sono disegnati gli anfratti di una carriera che si anima dalla provincia emiliana di Casarola, luogo di residenza estiva della famiglia Bartolucci, e prosegue al fianco di Pasolini e Moravia, tra i tanti. Negli stessi, Ermanna Montanari, sola in scena, si addentra per raccontare il regista parmigiano attraverso le pagine del volume, prima lette e poi colorate da intervalli che scollinano verso la vita, artistica e biografica, dei registi ravennati.
«Non potevo non cominciare da qui, da Casarola» dice Bertolucci. Montanari vi legge (e come non potrebbe) una prossimità con la sua Campiano, paese d’origine, adiacenza che vocalizza in scena nel tentativo di rendere sonora l’attiguità con il regista con il quale condivide memorie di un’immaginifica provincia. Lo fa servendosi di Lus, poemetto in dialetto romagnolo scritto da Nevio Spadoni che riporta la storia di Bêlda, una maga ammaliatrice e guaritrice: le sue parole vivono vestite di ritmicità modellata da un’Ermanna Montanari che si fa artigiana di un suono arcaico che si riconsegna ai vivi come eco d’infanzia.
La voce non è distante da un corpo che è scrigno di espressioni fisiche provenienti dallo stesso tempo puerile e che solo attraverso esso sa trovare una sua completezza espressiva: si avvia questo dialogo visibile tra corpo, voce e tempo, che non nasconde le crepe di un vincolo che è sì di fragile compattezza, ma non porta rossori in volto. Questa discorsivizzazione non è d’inedito debutto ma già scheletro di un’autorialità: la si ritrova ancora nella lettura dei versi che donano verbo a Ulisse nel ventiseiesimo Canto dell’Inferno di Dante, terreno già dipinto dalle impronte del Teatro delle Albe e che qui parafrasano il mistero del cinema su cui si interroga Bertolucci e che è accostato, per vicinanza di significazione, al folle volo di Ulisse che oltrepassa, morendone, i limiti della conoscenza.
Attraverso i versi di Emily Dickinson e Amelia Rosselli viene valicato un altro campo tematico dantesco: nell’aldiqua del teatro un mazzo di calle a fare da cornice e il risuonare di un che cos’è il Paradiso.
Si ritorna a Lus nell’ultimo quadro, alla ricerca dell’intonazione di un grido primordiale, come definito dalla Montanari su sollecitazione di Katia Ippaso che ha accompagnato la chiusura della serata in un momento d’incontro dialogico dopo lo spettacolo.