Muta Imago - Cechov - Tre Sorelle | ph Luigi Angeluccihi

Il blues nostalgico delle Tre sorelle di Muta Imago

A una prima impressione potrebbe sembrare che Tre Sorelle, del vincitore premio Ubu Muta Imago, non sia uno spettacolo teatrale, ma piuttosto un’esperienza o un esperimento, a metà tra l’installazione e performance. In realtà non dovrebbe nemmeno essere importante stabilire cosa sia, farlo rientrare in una categoria o in qualsiasi altro recinto, quello che importa è che le serate del Teatro India dal 9 al 14 maggio abbiano registrato il “tutto esaurito”, e che tra sospiri e qualche sbadiglio, il pubblico abbia trovato uno spazio aperto, diverso, che volge, e invita a volgere, lo sguardo verso la possibilità più che verso l’attualità.
Del resto, chiederci di guardare il teatro con occhi diversi è ciò che questo duo romano ha cercato di fare fin dagli esordi.

Nella sala B del teatro romano, calato il buio, iniziano da subito a fluire suoni, luci e colori. Per qualche minuto si vive un viaggio psichedelico fatto di vibrazioni sonore e luminose (che ricorda il viaggio del “Bambino delle Stelle” in 2001 Odissea nello Spazio) che fa approdare gli spettatori in un mondo sospeso nel tempo e nello spazio. «Ultimo rifugio nel cuore di un buco nero, fermo in un eterno presente», l’edificio rappresentato è un’ampia stanza dalle pareti color paglia, con una grande finestra oscurata dalle tende sul fondo, un salotto ispirato alla media borghesia degli ’60 del 900. Ai quattro angoli un telefono in bachelite, dei cuscini di un divano, delle riviste, una radio.

Nella riscrittura da parte del drammaturgo Fazi, vengono epurati del tutto i personaggi maschili, affidando le battute degli altri personaggi alle tre protagoniste, Federica Dordei, Monica Piseddu, e Arianna Pozzoli che incarnano rispettivamente le tre sorelle, Ol’ga, Maša e Irin, figlie di un militare morto l’anno precedente, che mal sopportano la vita in provincia e attendono con ansia di tornare nella vivace Mosca. Bloccate, fisicamente e psicologicamente, tra un passato da ricordare con nostalgia e un futuro che si fatica a immaginare, le tre donne lottano disperatamente per cercare un senso alla vita, e per rispondere a una semplice domanda: perché siamo al mondo?

Nella pigrizia di questa esistenza scialba, i conflitti sembrano arrivare sempre dall’esterno: la morte del padre, l’arrivo dei soldati, gli innamoramenti, le violenze, i discorsi sul tempo passato e futuro, il carnevale notturno, l’incendio. Nel dramma di Muta Imago non esistono più gli atti, è tutto un fluire di azioni senza senso, la vita è una successione meccanica di idee fisse, un’informe colata di gesti assurdi, che viene tradotta dalle tre performer in movimenti ripetitivi, corpi che danzano una isterica coreografia. Si perdono, vorticano, tentano di stabilizzarsi, tornano al caos, si scontrano, si respingono, si sciolgono al suolo, si annullano, riemergono. Le scene, come i ricordi nella memoria, tornano e ritornano, all’interno di un meccanismo drammaturgico che rappresenta l’ultimo esito della ricerca del duo romano sulle progressive forme di sottrazione scenica, e un impegno sempre più profondo sulle modalità di trattamento del tempo performativo.

Durante lo spettacolo, queste tre sorelle avvizzite e rattristate dalla condizione feriale, a cui destino e inerzia hanno sottratto le ultime speranze, cantano i loro sogni e le loro sofferenze, come in una sorta di monologo blues. Le battute diventano pensieri dispersi, frantumaglia di frasi trascinate via da un flusso di coscienza, in una giustapposizione di monologhi. Le donne in effetti non parlano mai davvero tra di loro, inseguendo ognuna il proprio pensiero, incatenata ognuna alla sua immobilità, alla sua implacabile, inespugnabile, sorda autocommiserazione.

Come il ritornello di Maša, che ritorna più volte: «presso la spiaggia c’è una quercia verde, su quella quercia una catena doro». Una cantilena, un altro gesto ripetitivo che serve a non perdersi nel fluire del tempo che scorre, ma che poi viene smarrito dopo l’incendio: «un gatto verde… una verde quercia… io confondo».

Se da un lato la regista e il drammaturgo riescono a mettere in scena l’inconsistente struttura del teatro di Cechov, il frammentario disordine delle battute, l’incertezza per il futuro, l’indefinito, dimenticano del tutto il controcanto burlesco, qualcosa che spezzi l’angoscia, quei guizzi di nonsense tanto cari allo scrittore russo. Ciò che emerge alla fine è dunque l’afflizione della vita, la mestizia e la solitudine che nel finale avvolgono anche gli spettatori, ormai immersi in un mondo annoiato e inerme.

Muta Imago - Cechov - Tre Sorelle | ph Luigi Angeluccihi

TRE SORELLE

di Anton Cechov
regia Claudia Sorace
drammaturgia / suono Riccardo Fazi
con Federica Dordei, Monica Piseddu, Arianna Pozzoli
musiche originali eseguite dal vivo Lorenzo Tomio
disegno scene Paola Villani
direzione tecnica e luci Maria Elena Fusacchia
costumi Fiamma Benvignati
produzione Index Muta Imago / Teatro di Roma – Teatro Nazionale
in collaborazione con Amat & Teatri di Pesaro per Pesaro 2024. Capitale Italiana della Cultura
con il sostegno di Festival delle Colline Torinesi TPE / Teatro Piemonte Europa

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