Fa freddo ed è umido nelle gallerie un tempo piene di terra che stiamo attraversando. Un dedalo di stanze, pareti e corridoi ci conduce alla sala ottagonale. Secondo gli studiosi corrisponderebbe al centro della villa neroniana e, per alcuni, sarebbe il luogo in cui l’imperatore si esibiva. È in questa sala che si svolgono le performance ospitate dalla rassegna Moisai; il tema di ognuna è suggerito dall’arte di una musa.
Il secondo incontro vede protagonista Mimmo Cuticchio, maestro del Teatro dell’Opera dei Pupi e dell’arte del cunto siciliano, che porta in scena L’ira di Achille, in onore della musa della tragedia, Melpomene.
Quando Cuticchio giunge si presenta, fa qualche battuta e crea un clima amichevole. Ci tiene a introdurre la sua arte distinguendo tre diverse declinazioni del mestiere: il cuntista racconta miti e leggende, senza nulla ad accompagnarlo se non la sua voce; il cuntastorie, invece, è specializzato nell’epica cavalleresca delle storie dei Paladini; il cantastorie infine era colui che andava girando corti e villaggi cantando fatti di cronaca.
La scelta di raccontare episodi dell’epica omerica scaturisce dalla constatazione che l’Opera dei Pupi non desta interesse nella popolazione scolastica. In risposta a questa “distanza”, Cuticchio ha deciso di accogliere nel suo repertorio storie che ragazze e ragazzi affrontano nei programmi didattici, mosso dal desiderio di avvicinare i giovanissimi studenti e i loro insegnanti a quest’arte antica che in lui sempre trova voce e corpo.
Cuticchio sceglie, per l’occasione, di raccontare un episodio cardine dell’Iliade, quello in cui Calcante rivela la causa scatenante della peste che sta divorando i Greci. Con voce e gesti ci permette di vedere la rocca di Ilio, le sue alte mura, i soldati che affollano gli accampamenti e i campi di battaglia. Crea un’atmosfera di volta in volta diversa: comica, tragica, familiare. Scuote quando interpreta le voci vigorose di Achille e Agamennone; emoziona mentre la sua voce tremante pronuncia la supplica di Patroclo a Ettore.
Per le sequenze narrative usa il siciliano, ma mai difficile. Le battute dei personaggi sono invece in italiano. Si ha l’impressione di avere di fronte un affabulatore che, improvvisamente, lascia il posto ai personaggi che vivono, in tutta la sua drammaticità, la storia.
Durante tutta l’esibizione, Cuticchio si rivolge sempre al pubblico, il suo sguardo incrocia quello degli spettatori che vengono catapultati dentro la vicenda. E senza una scenografia cui aggrapparsi, senza attori che interpretino l’uno o l’altro personaggio e gli diano vita, il pubblico non può permettersi di perdere nemmeno una parola, altrimenti l’immagine svanisce.
Quando si abbandona alla narrazione delle battaglie, Cuticchio chiude gli occhi e sembra raccogliere dentro di sé la forza necessaria all’impresa. Il ritmo della voce cambia, è cadenzato, come una litania e il pubblico si abbandona all’incantamento prodotto dalle sue parole. A tratti, Cuticchio batte il piede a terra, come a marcare il colpo di spada che trafigge i corpi dei soldati.
Il cunto termina sul più bello: Ettore ha ucciso Patroclo, facendo sua l’armatura di Achille; la notizia comincia a diffondersi tra i soldati dei due schieramenti. Bene o male il seguito della storia lo si ricorda: Achille si vendicherà. Il pubblico attende che Cuticchio riprenda la narrazione, ma lui saluta, con la promessa di finire il suo racconto la prossima volta.
L’ira di Achille
Di e con Mimmo Cuticchio
Prodotto da Associazione Figli d’Arte Cuticchio