In uno spazio ristretto e colmo di oggetti accade la vita mentre il tempo scorre. Tempo dal peso sospeso che non riesce a ricucire i vuoti interiori dei tre personaggi – Moni, Sandra ed Ettore: lo spazio che accomuna le tre vite, ovvero l’ufficio di lavoro, è diventato, con estrema passività, il sostituto di una casa, di un amore, di una vita mai pienamente vissuta. Senza inizio e senza fine, in questo microcosmo, le vite si intrecciano e si scontrano, nel tentativo di sopravvivere a una routine che ingabbia.
E in un’uggiosa domenica pomeriggio, sul palcoscenico del Teatro Argentina, il drammaturgo e regista argentino Claudio Tolcachir, centra, con successo, il suo bersaglio con Edificio 3 – Storia di un intento assurdo, pièce teatrale dal successo internazionale, in scena a Roma dal 16 al 21 maggio.
Una combinazione particolare tra dramma e commedia, che nella sua lineare e ironica struttura narrativa trasporta lo spettatore con leggerezza in una dimensione di livello superiore: attraverso la messa in discussione dei personaggi a partire dalle loro azioni, viene offerto uno spunto di lettura sull’incapacità dell’uomo di gestire la realtà di cui egli stesso è protagonista; questa condizione umana, nello spettacolo, fatica a trovare una risoluzione: uno smarrimento che è l’intento assurdo di cui lo stesso regista parla, uno stato emotivo che rende impraticabile il luogo cui avviene l’azione. Un ufficio che, lentamente, diventa stagnante e inghiotte tutti i desideri e le aspirazioni.
In Edificio 3, la parola pronunciata, concitata, discussa tra i personaggi, è, metaforicamente, l’incontro tra la sofferenza interiore e l’urgenza di voler partecipare alle pratiche sociali. Forse un’idea di un assurdo, parafrasando l’autore, secondo cui ogni singolo essere umano avverte il bisogno di riconoscersi nell’altro per avere anche un po’ di sé. Assurdo, forse, se pensiamo che per ricevere è necessario anche donare, un equo scambio che non prende mai vita: nell’incessante e tragicomico alternarsi di battute tra Ettore, Moni e Sandra, il dialogo è la somma di una insoddisfazione personale che, inevitabilmente, ricade nell’ultimo punto fermo rimasto, l’edificio-ufficio-teatro della loro vita.
Scrivanie, armadi, poltrone, librerie, telefoni, lampade: tutto è calibrato e geometricamente incastrato con i movimenti; è l’ambiente in cui oggetti e soggetti si fondono, trovando in questa unione un posto per raccontare l’esistenza.
Simultaneamente, l’ufficio percepito come teatro di rapporti umani tra i colleghi muta, alternandosi, in funzione di casa per una giovane coppia, Sofia e Manuel, la cui presenza in scena, inizialmente quasi dissonante rispetto alle vicende dei tre, si accavalla al filo narrativo primario disorientando lo spettatore e fornendo, nel corso dello sviluppo della storia, la possibilità di osservare questo mondo da un punto di vista diverso. Sofia e Manuel, che incarnano la frustrazione moderna dell’incomunicabilità, hanno un rapporto fragile, indefinito, violento e mai completamente libero dalla fame del possedimento. Un apparente rifugio che diventa incubo, paragonabile all’impossibilità di realizzare chi vorremmo essere.
In quest’edificio, però, resta sempre l’incompiutezza. Ciò che non viene mostrato è forse più chiaro di ciò che le bocche pronunciano nella confusione quotidiana.
Tra Moni, Sandra ed Ettore, non ci sono né vincitori né vinti: ognuno deve fare pace con i propri demoni. C’è chi perde la casa, chi una persona cara, chi la possibilità di realizzare un proprio desiderio. Una condivisione del dolore che si rispecchia, nel finale, in una coralità come manifesto di una sofferenza che accomuna i cinque. E la luce, sesta protagonista della storia, con la sua presenza intermittente, accompagna la narrazione scandendo, come nella vita, i momenti di riflessione e i momenti di consapevolezza.
Edificio 3 di Tolcachir è una pièce che racchiude il nostro presente fragile, pieno di aspettative deluse, di appuntamenti mancati, del flusso indefinito all’interno del quale, di giorno in giorno, le nostre vite procedono senza averne pieno controllo. Dalla drammaturgia asciutta e diretta della new wave argentina nasce un’opera che smuove, a partire dai dialoghi di vita quotidiana, una minuziosa reinterpretazione dei sentimenti umani seguendo la ritualità del gioco: solo chi ci partecipa, forse, può vincere.
Edificio 3 – Storia di un intento assurdo
scritto e diretto da Claudio Tolcachir
traduzione Rosaria Ruffini
con (in ordine alfabetico) Rosario Lisma, Stella Piccioni, Valentina Picello, Giorgia Senesi, Emanuele Turetta
luci Claudio De Pace
costumi Giada Masi
foto Masiar Pasquali
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa