Claudio Gregori e Simone Colombari vestono i panni di Ben e Gus, i protagonisti di un classico della drammaturgia del Novecento, Il Calapranzi di Harold Pinter. Andato in scena per la prima volta nel 1960, lo spettacolo approda dal 23 al 28 maggio al Teatro Quirino di Roma, a conclusione della stagione di prosa 2022/23, con la traduzione di Alessandra Serra, diretto e interpretato dagli stessi Gregori e Colombari.
Nel buio della sala, due uomini con in mano una torcia accesa si fanno spazio tra gli spettatori. Salgono sul palcoscenico, puntano le torce verso il pubblico: ha inizio l’azione. Sono i protagonisti – e unici personaggi della vicenda – Ben e Gus, destinati a passare la notte in un luogo non definito, estraneo anche a loro oltre che allo spettatore.
Ma chi sono Ben e Gus? Apparentemente due uomini comuni, che si scandalizzano per notizie cruente lette sul giornale come la morte di un gatto per mano di un bambino, e che discorrono del più e del meno, ma che si scoprirà in seguito, dalle loro parole, essere due sicari. In un susseguirsi di azione ma anche di staticità dovuta al nascondiglio in cui si trovano, i due sono costretti in un claustrofobico spazio senza finestre che a un certo punto, creando uno straniamento con il pubblico, viene definito “teatro” da Ben: il luogo dell’azione e quello della messa in scena dunque coincidono. A riempire il palco, inizialmente, ci sono solo due sedie, una sdraio – portate dai protagonisti – e un misterioso cubo bianco sul fondo, che diventerà parte attiva della vicenda solo in un secondo momento. Numerose e brevi discussioni, tutte per motivi futili, animano la loro temporanea convivenza, in una regia che rende brillanti i momenti di battibecco, ricordando i dialoghi tarantiniani tra Vincent Vega e Jules in Pulp Fiction.
Ma oltre ai due uomini è protagonista anche un oggetto: il calapranzi, che dà il titolo all’opera, e che in questa versione di Simone Colombari e Claudio Gregori è presentato sotto forma di strutture geometriche bianche e luminose, primo tra tutti quel cubo che a inizio spettacolo era spento sul fondo della scena. Questo è calato in continuazione nello spazio in cui si trovano i personaggi. Chi è che pretende che Ben e Gus preparino tutte queste pietanze? E come dovrebbero fare, senza acqua né gas, a cucinare? Sono proprio i numerosi e psichedelici calapranzi che scendono uno dopo l’altro, durante le discussioni dei due uomini, a mantenere viva la componente visiva, anche tramite l’alternanza di buio e forti luci che fanno brillare queste misteriose strutture.
Notevole è anche la dimensione sonora: musiche da film di spionaggio che si sentono a inizio e fine spettacolo, in contrapposizione con numerosi e sordi rumori come quello di una porta che si apre dietro le quinte o quello dell’acqua del bagno mal funzionante, o ancora dello sbattere pesante dei calapranzi cubici che scendono dall’alto. Tante sono le ripetizioni di concetti e parole, tipiche del Teatro dell’Assurdo del secolo scorso, e dunque di autori quali Beckett, Ionesco, e in un secondo momento lo stesso Pinter; il continuo ripetersi risulta in alcuni momenti comico, ed enfatizza la situazione paradossale dei due uomini nascosti in questo rifugio di fortuna, costretti anche a dover servire vivande di ogni genere ai misteriosi interlocutori del piano di sopra.
La coppia Gregori–Colombari interpreta i due personaggi di Pinter con complicità e grande intesa, mantenendo alto il ritmo della narrazione non solo nei dialoghi serrati, ma anche nei numerosi punti di silenzio presenti soprattutto all’inizio della pièce. Non mancano momenti in cui emerge l’intimo dei personaggi, come quando, circa a metà spettacolo, Ben e Gus si siedono a parlare sommessamente sui gradini del palco, con solo un occhio di bue a illuminarli, in una sorta di inaspettato confessionale. Rievocano le brutture viste in passato, a causa del loro ruolo di sicari, non rinunciando alla verve ironica. Ma qual è il vero rapporto tra i due? Si mostrano da subito complementari seppur diversi: Ben è sicuramente dominante rispetto a Gus. Più razionale e freddo il primo, più emotivo e a tratti ingenuo il secondo, si completano a vicenda in questo kammerspiel ricco di domande senza una vera risposta, fino al sorprendente finale aperto.
Il Calapranzi
di Harold Pinter
traduzione Alessandra Serra
regia Claudio Gregori, Simone Colombari
con Claudio Gregori, Simone Colombari
una produzione LSD Edizioni