Si è svolta a Ravenna la 48esima edizione del Festival Internazionale dei Burattini e delle Figure "Arrivano dal Mare!"

Interrompere le apnee: il Festival Arrivano dal Mare! Intervista a Roberta Colombo.

Il Festival Internazionale dei Burattini e delle Figure Arrivano dal Mare! nasce nel 1975 a Cervia e e dal 2011 si sposta a Ravenna, città della quale abita anche gli immediati dintorni.
Si è svolta quest’anno la 48esima edizione del festival che ha confermato la voglia di far dialogare i diversi soffi che muovono il grande albero del Teatro di figura: dai burattini alle guarattelle napoletane, fino al teatro d’ombre. Tra gli ospiti: Alessandro Carboni, Teatro del Drago, Emanuela Dall’Aglio, Mimmo Cuticchio, Compagnie Pelele, Teatro Gioco Vita, Is Mascareddas, Compagnia Marionettistica Carlo Colla & Figli.

Il rettilineo tracciato in fase di programmazione è stato spezzato dall’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna negli scorsi mesi ma che non ha impedito la continuazione delle maggior parte delle attività previste, per le quali è stato garantito l’ingresso in forma gratuita oppure in una forma ridotta destinata alla raccolta fondi per la gestione dell’emergenza

Abbiamo parlato del Festival con Roberta Colombo, curatrice della Direzione Artistica del Festival insieme ad Andrea Monticelli, Teatro del Drago/Famiglia d’Arte Monticelli di Ravenna.

Di cosa parliamo quando parliamo d’amore… è il titolo preso in prestito da Raymond Carver per vestire l’edizione 2023 di Arrivano dal Mare! Porta con sé un già evidente accostamento tra l’amore e il grande perché che è il teatro, ma qual è lo scheletro che sostiene la scelta di questo titolo?

Noi da tanti anni stiamo lavorando sull’educazione ai diritti umani attraverso un protocollo appreso dall’estero più di un decennio fa: l’Europa prevede che ci sia l’insegnamento dei diritti umani nella scuola secondaria di primo grado. Abbiamo scavato e questo percorso ci ha aperto molte visioni: il ruolo fondamentale dell’arte e della cultura dovrebbe essere collegato al sociale, non può più essere fine a se stessa. In questo momento storico aprirsi e includere il più possibile può essere una soluzione. Andare a insegnare diritti umani attraverso un protocollo tanto empatico quanto ludico ci ha aiutato mentalmente ad avere una posizione rispetto al Festival, soprattutto negli anni successivi alla sua nascita in cui l’abbiamo ristrutturato e nutrito: per esempio l’anno scorso il Festival era concentrato sul diritto a viaggiare su ispirazione de Il più personale dei piaceri di Vita Sackville-West. È da questa indagine e prossimità con i diritti umani che re-incontriamo Carver. Poi è arrivato l’alluvione…

A tal proposito: il Festival ha resistito nonostante le difficoltà dovute all’alluvione di Maggio e Giugno. È forse necessario discostarsi dalla retorica, lesiva, che mette in ombra, almeno per gli occhi disattenti, le responsabilità di un disastro idrogeologico di questa portata e che vuole raccontare una Regione non scalfibile e già pronta a ripartire.
Quali sono, invece, le ferite che non passano in tv e cosa può il teatro? Com’è stata gestita l’apnea di un’emergenza e in quali fessure ha imparato a respirare il Festival?

È stato difficile. Siamo andati in emergenza a pochi giorni dall’inizio del Festival, da lì è iniziato un brutto film: giorno dopo giorno succedevano tragedie e noi eravamo in piena promozione. Si capiva perfettamente che quello che stava succedendo era veramente una catastrofe e quindi ci voleva il massimo rispetto. La prima ad essere colpita era la zona di Faenza, Forlì, Cesena e Gambettola dove noi avevamo l’inaugurazione, lì sono andati sott’acqua il tendone e Casa Fellini dove avremmo aperto il Festival.


La situazione era dinamica: si marciava insieme alle istituzioni ma esisteva anche il panico, tra cittadini e persone dello staff, che la situazione che aveva scatenato: alcuni di noi che erano nella zona maggiormente colpita non avevano l’acqua e la corrente perciò per rimanere in contatto facevano il giro del quartiere per caricare il cellulare e, quando in casa, si facevano luce con le candele finché bastavano. Intanto continuavano ad arrivare notizie disastrose e chi era nei paraggi era occupato a spalare il fango.
In città eravamo pochi: ho chiesto a chi non aveva avuto danni di aiutarmi ed è stato difficilissimo. La nostra società ci ha insegnato a parlare anche quando potremmo stare zitti, ma ho dovuto adempiere a delle responsabilità. Così ho chiesto a chi se la sentiva, anche agli artisti, di continuare, ovviamente non come se nulla fosse.


Parallelamente entrava dentro di me una corrente che mi ha fatto tornare ai tempi del Covid: i primi a chiudere e gli ultimi a riaprire. Giravo per Ravenna ed era piena di turisti, i ristoranti aperti e all’ora dell’aperitivo le strade erano colme di gente che brindava. Io guardavo inorridita tutto ciò perché noi stavamo vivendo una tragedia, un’angoscia. A Ravenna, invece, non c’era neanche la percezione del fuori. Intanto l’acqua si avvicinava e i quartieri venivano svuotati per 24 o 48 ore per permettere alle persone di tornare, a giorni alterni, a dormire a casa. Gli hub hanno resistito bene fino a quando non c’è stato l’allagamento nella zona di Fornace, ma è stato “solo” un travaso di un canale: lì abbiamo il magazzino, ma per fortuna l’acqua è arrivata a 200 mt dal cancello.
Abbiamo continuato a sentirci e a un certo punto, in comunione con le istituzioni, abbiamo deciso che il Festival si sarebbe fatto, che avremmo dato una risposta culturale e politica a questa grande tragedia. Era questo il fango che noi sapevamo spalare meglio. È stato possibile solo grazie alle istituzioni che sono state fin dall’inizio dalla nostra.

Eravamo invisibili, poi con il Covid siamo diventati inutili: io questa doppia i non la riconosco, voglio che il nostro teatro sia utile, che si trasformi in una U.

Immagino che si sia rivelato importante non solo per voi ma anche per chi ne ha fruito e il Teatro di figura ha di per sé un pubblico estremamente eterogeneo. A questo si aggiunge un’estensione territoriale del Festival molto evidente, sono coinvolti diversi comuni oltre a Ravenna: Gambettola, Longiano, Gatteo…qual è il rapporto con la cittadinanza? 

C’è un pezzo di Romagna che ama i burattini e che li ha sempre ospitati. Il Teatro di figura è un continuo dialogo tra linguaggio e tecnica, questo gli permette di farsi spazio tra diversi pubblici. C’è ancora molta ignoranza sul nostro mondo e per noi è una sfida: spesso veniamo catalogati come teatro per ragazzi ma quello è solo un target di riferimento, al suo interno vivono tante realtà. È un costante errore di valutazione.
Eppure la risposta che abbiamo è positiva.
Quando andiamo in giro per l’Europa ci chiedono: “Ma voi fate ancora la tradizione? Ma i bambini vengono?” e ci scappa da ridere perché sappiamo che c’è una tradizione popolare che è molto presente.

Chissà perché fa così paura la parola tradizione

Che paura che fa! Qui ci sono cinque generazione di marionettisti e un’identità molto forte; c’è molta più libertà di sperimentazione nel Teatro di figura che in quello di prosa. Io lo dico sempre: “Un albero senza radici al primo colpo di vento cede e se non ha radici molto forti non fa nemmeno buoni frutti”. Ricordiamoci sempre da dove veniamo per capire dove siamo e, solo dopo, per decidere dove vogliamo andare.

Con il sostegno di

Comune di Ravenna, Comune di Gambettola, Comune di Longiano, Comune di Gatteo, Regione Emilia-Romagna, MIC Ministero della Cultura

In collaborazione con 

Ravenna Teatro, Rete di Associazioni Almagià, Istituzione Biblioteca Classense, MAR Museo d’Arte della Città di Ravenna, Il Planetario di Ravenna, Akâmì, CittAttiva, Casa delle Culture, ScrittuRa Festival,  Ve.Ra – La Velostazione di Ravenna, Autorità Portuale di Ravenna, Cooperativa Portuale Ravenna, Associazione Circuiti Dinamici, Casa Fellini Centro di residenza per il Teatro, il Cinema e le Arti Circensi, P.A.C. Polo Artistico CreAttivo – Ex Macello Gambettola, Associazione La Casa delle Marionette, ReTeFì. 

Con il patrocinio di

UNIMA Italia, ATF/Agis, Italiafestival

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