Il “Progetto” Tempesta si può dire che abbia attraversato l’intero arco della carriera di Peter Brook. Dal 1957, al 1968, al 1990, fino al 2020. L’ultimo tassello di questa lunga riflessione, frutto del lavoro condiviso con Marie–Hélène Estienne, è Tempest Project che a un anno dalla scomparsa di uno dei grandi maestri del teatro del Novecento, approda a Roma, ospite del Romaeuropa Festival, all’Auditorium Parco della Musica.
Il tempo in cui viviamo ci costringe a misurare la gravità della frattura tra Uomo e Natura. Il nostro orecchio è impenetrabile al canto della Terra, i nostri comportamenti sfacciatamente incuranti delle forze che abitano il cielo, il suolo, le acque, i venti e tragicamente impattanti sul loro equilibrio: antropocene, si dice.
Come giustamente scrive Peter Brook nelle note di regia del suo Tempest Project, gli occidentali hanno tutti gli strumenti per cogliere le questioni politiche suggerite da La tempesta shakespeariana, e il rapporto tra l’essere umano e la natura è solo una di queste questioni; «Ma per loro – continua – è quasi impossibile toccare il mondo invisibile». Invisibile che il maestro novecentesco nello studio fatto insieme a Estienne eleva alla potenza ennesima. Sottraendo l’elemento fantastico di cui l’opera del Bardo è imbevuta, senza la ricerca del magico, senza effetti speciali che suggeriscano la violenta tempesta che dà il titolo al capolavoro elisabettiano, quel che resta è una scarna, potente umanità.
Pochissimi elementi nello spazio (quasi) vuoto del palcoscenico di cui a lungo Brook ha scritto, il tappeto al centro del rito del teatro divenuto simbolo della sua poetica e un leggero canto senza tempo: tutto pare invitare lo spettatore a stringere un patto che lo porti fuori dal proprio caos. Brook ed Estienne mettono mano al testo senza troppo timore, sfrondano perché rimanga solo il tronco e il risultato è formidabile: la struttura si regge salda, la trama (su cui non indugeremo) arriva intera.
Il ritmo delle parole è l’arma con cui si destreggiano gli attori e l’attrice sulla scena. Sylvain Levitte è Caliban e Ferdinando, buio e luce hanno lo stesso volto, il corpo grezzo e nervoso del “mostro” diventa leggero e delicato nel giovane amante; Paula Luna è Miranda, candida figlia del potente Prospero, Fabio e Luca Maniglio sono Stefano e Trinculo, divertenti e maldestri gemelli (gemelli davvero, gli attori) ubriachi; Jared McNeill è Ariel, spirito dell’aria al servizio di Prospero.
Prospero è Ery Nzaramba, perno dell’intera messinscena. Un personaggio di cui Brook scrisse: «è entrato nel caos delle forze naturali, ha visto come l’uomo sia in grado di dominarle e diventare una sorta di super uomo. Ha raggiunto una vetta allarmante dello sviluppo umano; è diventato un mago. Ha il potere; può vendicarsi». Eppure il potere non lo rende libero, è schiavo del suo rancore. Il potere gli impedisce di riconoscersi umano tra gli umani e dunque libero.
Questo spogliare di orpelli il dramma del meraviglioso, è forse specchio del desiderio di libertà che anima ogni personaggio, la ricerca di quello “zero” di cui parlava il maestro, lo «zero da cui possono scaturire infinite forme». Libertà che necessita di perdono. Il perdono è la virtù dell’uomo libero. Rende liberi se stessi e gli altri. Anche Prospero lo chiede per sé: «Let your indulgence set me free» è il verso con cui Prospero, spezzata la bacchetta del potere, si congeda dall’isola e dal pubblico in sala, di colpo illuminato dalla sua stessa luce, prima di andarsene e dissolversi nel buio. E nel silenzio: «un altro modo di riconoscere e apprezzare un’esperienza che abbiamo condiviso», direbbe il maestro.
Tempest Project
Adattamento e messa in scena Peter Brook et Marie-Hélène Estienne
Produzione C.I.C.T. – Théâtre des Bouffes du Nord
Uno spettacolo nato da una ricerca su La Tempesta di William Shakespeare
luci Philippe Vialatte
con Sylvain Levitte, Paula Luna, Fabio Maniglio, Luca Maniglio, Jared McNeill, Ery Nzaramba