Sussiste nell’opera di Roberto Latini, Pagliacci all’uscita, andata in scena al Teatro Vascello di Roma, un’attrazione magnetica tra Pirandello e Leoncavallo: l’uno richiama costantemente l’altro, spinge per entrare nell’ambito dell’altro e contagiarlo. Questa tensione continua a mescolare forme diverse, rappresenta una declinazione peculiare del regista.
Verismo di fine ‘800, un delitto d’onore e d’amore, un mistero profano, un’opera lirica senza lirica, un cimitero dove gli spiriti hanno lasciato i loro corpi in disfacimento nelle tombe, un attaccamento quasi morboso per i problemi terreni, e la ricerca di un Altrove. Tutto questo tra un rigagnolo d’acqua e una luna metafisica che sovrasta il palco e gli spettatori.
Non è uno spettacolo surrealista, anche se potrebbe sembrarlo: è la nuova opera teatrale di Roberto Latini, performer, regista e autore, che ha aperto la stagione del Teatro Vascello di Roma.
Una produzione La Fabbrica dell’Attore – Compagnia Lombardi Tiezzi con il sostegno del Centro di Residenza della Toscana (Fondazione Armunia Castiglioncello – CapoTrave/Kilowatt Sansepolcro) che si potrà ancora vedere per qualche giorno, almeno finché Latini non partirà alla volta di Modena per un nuovo progetto.
La sala intima del Vascello ha il sipario ancora abbassato quando inizia lo spettacolo, è il Prologo (Ilaria Drago) stesso a presentarsi agli spettatori, e subito si viene trasportati in un’atmosfera d’altri tempi:
Si può? Si può?
Signore! Signori! Scusatemi
Se da sol mi presento. Io sono il Prologo…
L’inizio ricalca, sebbene in prosa, quello dei Pagliacci, come se fosse, per usare le parole dell’autore, un «libretto di un’opera lirica senza lirica». Poi un forte rumore modificato elettronicamente, forse un colpo di pistola forse la rottura di un piatto, irrompe crudele e stridente. Il sipario, alzandosi, disvela un pavimento d’acqua sul boccascena, e un secondo palco sul fondo.
I personaggi strascicano i piedi in questo ambiente acquatico: chi, indossando delle pinne, si muove all’indietro, chi porta con sé un microfono sottobraccio, chi si aiuta con un bastone e chi usa come sostegno degli eterei palloncini sospesi a mezz’aria. Tutti indossano le “antiche maschere”, nessuno escluso, perché quando vengono abbassate fanno precipitare gli attori nell’altro mondo. A sottolineare questo passaggio nell’Altrove, compare una gigantesca luna tridimensionale proiettata su uno sfondo rosso sangue. I tre personaggi principali, Prologo, l’amante e la donna fedifraga, abbigliati con costumi (di Rossana Gea Cavallo) che richiamano il Settecento, sono ora relegati allo spazio angusto del “palco nel palco”, ognuno isolato dagli altri, come tre oggetti conservati nelle loro teche.
Nelle mani di Latini, proprio come marionette in un teatrino, gli attori si agitano con movenze lignee, ridono, malignano, complottano, in qualche caso muoiono, per poi “resuscitare” come spiriti spiaggiati sul sentiero d’acqua. E soprattutto si trasformano: Elena Bucci, Ilaria Drago, Roberto Latini, Savino Paparella, Marcello Sambati danno vita a varie figure indossando e svestendo le rispettive maschere, modificando anche il linguaggio, che passa da aulico a comico, al canto.
Nella regia di Latini tutto si svolge tra le luci psichedeliche di Max Mugnai, che annullano i paesaggi e creano scenari astratti, patafisici, metafisici, lisergici; sfondi inquietanti o acidi scenari da apocalisse. Gli attori vengono immersi in atmosfere oniriche, in un luogo di sogni o piuttosto di incubi dissimulati dall’umorismo.
In questo spettacolo si ride molto, almeno finché il regista non fa emergere il ghigno più feroce del femminicidio, e allo stesso tempo si riflette sullo scopo finale della vita, su questi corpi che annaspano, che, immersi nel canto dei grilli, nella sinfonia cacofonica della natura, non riescono a abbandonare i loro problemi terreni.
Apparentemente vivo, ma in realtà morto, uno di questi corpi dirà «Ho paura, ch’io solo resterò sempre qua, seguitando a ragionare».
PAGLIACCI ALL’USCITA da Leoncavallo a Pirandello
uno spettacolo di Roberto Latini
con Elena Bucci, Ilaria Drago, Roberto Latini, Savino Paparella, Marcello Sambati
musiche e suono Gianluca Misiti
luci e direzione tecnica Max Mugnai
costumi Rossana Gea Cavallo
produzione La Fabbrica dell’Attore – Compagnia Lombardi Tiezzi
con il sostegno del Centro di Residenza della Toscana (Fondazione Armunia Castiglioncello – CapoTrave/Kilowatt Sansepolcro)