Progetto nato dalla necessità di fare un teatro vivo e contemporaneo che (ri)torni alla sua funzione sociale, Ho bisogno di sentire qualcuno che mi dica che sto bene si ritaglia il suo spazio – dal 5 all’8 ottobre – nella cornice del Teatro Basilica di Roma. Lo spettacolo, prodotto dalla compagnia MAT – Movimenti Artistici Trasversali – nata a Lucca nel 2022 ma che raccoglie la ricerca artistica dello storico Teatro del Carretto diventandone erede, riporta in scena un progetto nato tre anni fa basato su una serie di improvvisazioni teatrali – realizzate dalle stesse protagoniste dello spettacolo – trasposte poi in drammaturgia da Maria Teresa Berardelli. Contenendo inoltre, nella sua ricerca, la necessità di raccontare un’amicizia che dalla vita reale è stata riportata sulla scena, in questo spettacolo intimo e reale.
Una situazione quotidiana e naturale è l’input che ci viene offerto per farci entrare all’interno della storia: una cena tra amiche – storiche – che cadenzatamente si ritrovano per celebrare la loro amicizia. Un tavolo, quattro sedie e l’inizio di una conversazione che ognuno di noi può aver avuto almeno una volta nella vita. Un tavolo che, dall’ultima volta che le donne si sono incontrate, ha raccolto dispiaceri, malesseri, mancanze, repressioni: le donne in scena – è uno spettacolo tutto al femminile – sono quattro donne che presentano quattro ossessioni diverse e personali, le quali accomunate da un’insoddisfazione interiore che le allontana e le riavvicina e permette loro di scontrarsi, soltanto, nello smarrimento.
Ma quello che colpisce è la costante ripetizione dell’incontro iniziale: la cena non inizia e non finisce mai. Vi è sempre qualche interruzione che riporta la storia all’inizio dell’incontro, proponendoci le differenti versioni – ovvero, i quattro diversi punti di vista delle donne protagoniste – e i differenti pensieri dell’una verso l’altra. Interruzioni che come un fotogramma, sostenuti da intervalli di luci e musiche, immortalano l’azione focalizzandosi di azione in azione sul soggetto protagonista in quella sequenza.
A questo tavolo però si incontrano (o meglio, scontrano) le mille facce di queste donne – in scena Elisa di Eusanio, Giulia Galiani, Valentina Martino Ghiglia e Marta Nuti – che nascondono in realtà delle solitudini radicate che non permettono loro di comunicare apertamente i loro sentimenti, progredendo gradualmente in un delirio, in una follia che porta all’esasperazione di chi vorrebbe darsi (e dirsi) ma nel farlo non ci riesce perché non si riconosce più in quello che in passato era stato presente e vivo. Ognuna di loro deve combattere contro il proprio demone, la propria ossessione, cercando conforto e ascolto nell’altra: queste quattro donne hanno bisogno di essere ascoltate e capite, e non frettolosamente giudicate. Neppure l’un l’altra.
Questo spettacolo sviscera probabilmente la nevrosi contemporanea dell’individuo moderno – non a caso, queste donne, possono essere identificabili come donne sull’orlo di una crisi di nervi – e della pressione che aleggia dietro al falso (apparente) benessere che traspare dalla condivisione sociale. Dalle nevrosi erotiche che generano oppressioni emotive alla nevrosi post-partum di cui non si parla abbastanza, si cerca di dar voce a questi problemi sociali reali, spesso sminuiti, mai trattati con una prospettiva che approfondisca l’aspetto psicologico. Come emerge anche dalle note di regia, secondo Giacomo Vezzani «esistere significa soffrire o ridere di sé, se poi tutto si riduce ad un gioco che assomiglia alla vita»
Un ruolo importante è giocato anche dal tempo che sembra essere sospeso dalla sua linearità: dal momento del ritrovo delle donne sedute al tavolo, dopo un anno di separazione, si cade un vortice che accavalla le narrazioni e gli avvenimenti che le donne hanno vissuto nell’anno trascorso, riportandoci in un tempo unico, presente, reale, quello in cui queste donne sentono di ammettere le proprie debolezze e i propri limiti, mettendosi a nudo. Il tempo in cui si arriva a interrogarsi sull’importanza di stare bene, arrivare a chiederselo.
Il ballo finale, sulle note di una canzone pop che inneggia alla libertà e che sembra allentare la tensione con la quale le quattro donne hanno inaugurato l’incontro, è il risultato di un percorso interiore che ha condotto le protagoniste a (r)incontrarsi, per ritrovare ancora una volta, l’unica cosa che al mondo non si può comprare: la condivisione umana.
Ho bisogno di sentire qualcuno che mi dica che sto bene
drammaturgia Maria Teresa Berardelli
da un’idea di: Di Eusanio, Galiani, Martino Ghiglia, Nuti
con: Elisa Di Eusanio, Giulia Galiani, Valentina Martino Ghiglia, Marta Nuti
regia: Giacomo Vezzani
costumi: Marta Genovese
scena: Laura Giannisi
luci: Javier Delle Monache
musiche e suono: Vanja Sturno
coreografia: Daira Nocera
regista assistente: Fabio Carta
foto e grafica: Manuela Giusto