Il 12 ottobre lo Spazio Rossellini ha ospitato Famiglia, spettacolo originale dal repertorio della compagnia Fort Apache Cinema Teatro.

Famiglia: Come è possibile tenere insieme tante vite?

È nel 2014 che Valentina Esposito, regista e drammaturga, fonda Fort Apache Cinema Teatro, unica compagnia stabile in Italia a collaborare con attori professionisti, ex detenuti e detenuti in misura alternativa.

Famiglia, lo spettacolo ospitato di recente allo Spazio Rossellini, è una produzione che risale al 2018-2020, in cui la regista ha guidato il processo di scrittura del testo in condivisione con i membri della compagnia, così da offrire loro la possibilità di affrontare insieme una necessità o un dolore.

Il tema delle relazioni familiari è particolarmente gravoso per chi vive in una situazione di detenzione, sia nel caso in cui si trovi in carcere, caratterizzato dal muro invalicabile che divide chi sta dentro da chi sta fuori, sia al termine della detenzione, che obbliga sempre a confrontarsi con equilibri nuovi, dettati dal tempo trascorso dentro.

«Siamo troppo vicini, ma non vicini abbastanza»: così la compagnia presenta lo spettacolo sul sito web. I legami familiari sfilacciati, difficili, rincorsi sono un tema comune a tutti, motivo per cui quella battuta riesce a  riguardare ogni spettatore. Eppure, in carcere, si presenta con un’evidenza lampante e si amplifica a tal punto da renderne l’attraversamento inevitabile. Esposito lo permette attraverso il teatro.

Per la regista è importante che la drammaturgia si costruisca sulle urgenze e sulle esperienze che ognuno espone; ma è fondamentale lasciare sempre un margine di protezione, una sorta di zona di sicurezza che consenta agli attori di non mettersi completamente a nudo. Per questo, nell’operazione di scrittura, i racconti delle esperienze degli attori vengono distribuiti tra i vari personaggi, così che, armati della forza dell’interpretazione, possano raccontare una storia che risuoni in molti e non resti autoreferenziale.

Famiglia è uno spaccato di vita incentrato sul matrimonio di Viola (Viola Centi) e Matteo (Luca Carrieri), che è anche il giorno della morte di Lallo (Giancarlo Porcacchia), padre della sposa, e si chiude un anno dopo, con l’organizzazione del battesimo della sua bambina. Incornicia lo spettacolo il monologo di Alessandro (Alessandro Bernardini), rivolto al pubblico, ma soprattutto al padre, che ormai non c’è più.

Quella che si racconta è una famiglia dispersa, tenuta insieme da legami fragili e stantii. Eppure, qualcosa ancora pulsa tra i loro membri. Sotto l’astio, la paura, lo scherno, un amore c’è. Ma è represso, soffocato dall’orgoglio e dal risentimento.

Sono pochi coloro che cercano di rinsaldare le relazioni all’interno della famiglia: Edoardo (Giulio Maroncelli), che nonostante tutto vigila sul padre durante l’intera cerimonia; Pierino (Piero Piccinin), seppur incastrato nelle dinamiche familiari da troppo tempo per liberarsene completamente; Viola, che instancabile cerca di ricucire i fili del legame tra il padre e il fratello, senza allentare quello con il nuovo marito. Ma ognuno di loro è solo e fa sempre più fatica a sostenere lo sforzo.

Un altro piano di articolazione della storia è quello generazionale. Tutto comincia con un padre violento, che ora, da nonno morto, segue gli eventi assieme agli altri defunti della famiglia. Tutti consci – come lo sono i vivi, eccetto Alessandro e Fabio (Fabio Rizzuto) – dell’imminente salita di Lallo, osservano e a tratti collaborano affinché lui possa riconciliarsi con il figlio prima di morire. Ma falliscono. Lo spettacolo non mette un punto, non offre soluzioni. Alessandro porta la bara del padre sulle spalle, eppure non lo ha visto morire. Ed eccolo un attimo dopo a implorare che le ferite ancora aperte si rimarginino. Perché, a volte, non basta una vita – né ne bastano tre in questo caso, quella di nonno Hitler (Massimiliano De Rossi), quella di Lallo e quella di Alessandro – a risolvere i rapporti familiari.

L’unica luce sembra arrivare con le ultime battute, prima dell’amaro finale con il monologo di Alessandro. Nonno Hitler capisce, dopo tre vite, che avrebbe potuto comportarsi diversamente con i suoi figli. Ma ora può solo guardare. Sarebbe possibile un’interpretazione del finale come un «Ora tocca a voi, che ancora potete fare qualcosa» lanciato al pubblico? Forse. Ma il tema centrale sembra non essere questo, quanto piuttosto la volontà di raccontare un malessere, una situazione che in un modo o nell’altro ha toccato tutti.

Famiglia

Testo, regia e ideazione scenografica di Valentina Esposito
Con Alessandro Bernardini, Luca Carrieri, Matteo Cateni, Chiara Cavalieri, Viola Centi, Massimiliano De Rossi, Massimo Di Stefano, Gabriella Indolfi, Giulio Maroncelli, Piero Piccinin, Giancarlo Porcacchia, Fabio Rizzuto, Cristina Vagnoli.
Costumi Mari Caselli
Ideazione scenografica Valentina Esposito
Scenografia Andrea Grossi
Luci Alessio Pascale
Musiche Luca Novelli
Sound designer Luigi Di Martino
Una produzione Fort Apache Cinema Teatro

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