Asfissiato da un sistema inerte e incurante, il teatro è morente.
O va verso la strada della perdizione per sua stessa interna implosione. Quale che sia la causa, o la concomitanza di cause, in un futuro imprecisato, potrebbe scomparire il teatro, rimpiazzato da altre forme di relazione, condivisione, ricerca o espressione interiore.
E allora cosa ha di peculiare per cui non si può sostituire?
Come salvarlo dal destino che lo condanna alla dimenticanza, all’oblio?
Queste alcune delle questioni sollevate da Umbria Factory Festival 2023.
Il festival, infatti, alla visione degli spettacoli ha intrecciato la riflessione sull’utilità delle arti e del teatro per la vita e la società, anche grazie alla discussione in diretta radio che si è tenuta nel secondo weekend folignate, tramite Radio IFF/UFF, la cui redazione è composta da Michele Bandini, Francesco Bianchi e Silvio Impegnoso. Il canale radiofonico, rompendo i confini territoriali dell’evento festivaliero, si è fatto cassa di risonanza per raggiungere quella parte di mondo interessata al dibattito e più in generale al teatro, ma impossibilitata a essere fisicamente presente.
Un espediente divertente ha aperto la discussione: Bianchi e Impegnoso sono tornati a Foligno da un futuro lontano per indagare il motivo dell’estinzione del teatro e delle arti e cercare le istruzioni per la loro salvezza. Pare che il Festival abbia un ruolo determinante in questa missione, pertanto è necessario coinvolgere artisti e addetti ai lavori per trovare delle soluzioni. Nella prima puntata radio, vengono intervistati Benno Steinnegger e Jovial Mbenga, che hanno portato The chance to find yourself all’Umbria Factory Festival, e Maurizio Lupinelli e Carlo de Leonardo del Teatro Narval, in scena con La buca. «A teatro vedo il tempo presente che si sviluppa davanti a me in un altro corpo», queste le parole con cui Benno Steinnegger rivendica l’importanza del teatro e la sua specificità. Per Lupinelli la salvezza è nel rischiare, nel lavorare sulle presenze, sul perché, sul come. Su un pubblico che sappia attendere – durante uno spettacolo – e stare nella semplicità del movimento di un attore. Durante la seconda puntata radio, è stato intervistato il critico Lorenzo Donati di Altre Velocità.
La conversazione si è incentrata sul valore sia del teatro in sé che della critica teatrale.
Donati invita a rifuggire la visione salvifica della critica: «Non dobbiamo salvare noi le arti, semmai sono le arti che ci salvano», commenta. Continua esortando a evitare la nostalgia del passato: è necessario accettare la condizione di marginalità del teatro e agire a partire da essa. Lo stesso festival ha visto proprio una riflessione su questa questione in occasione dello spettacolo Pasolinacci e Pasolini del Teatro delle Albe, in cui Marco Martinelli esortava a non rimpiangere Pasolini, ma a passare all’azione. E allora che fare? Siamo anche noi oggi bloccati in una situazione simile a quella di La buca del Teatro Narval? Con un clima da teatro dell’assurdo, La buca è uno spettacolo sull’attesa di un evento esterno che cambi le cose, sul loop di due uomini che ogni giorno ripetono gli stessi gesti. Assimilabile a quel cambiamento in atto nel teatro che sembra non arrivare mai. Eppure il protagonista dello spettacolo vede mondi che noi non vediamo: forse si prospetta per il teatro una salvezza? Una risposta a questa ricerca è offerta da The chance to find yourself di Benno Steinnegger e Jovial Mbenga, che rispecchia il conflitto tra chi cerca linguaggi metaforici o astratti per creare il “giusto spettacolo” e chi trova la chiave di volta nella presenza autentica, nell’esserci. La riflessione continua al talk della domenica mattina, che ha coinvolto in maniera diretta l’audience, composta dal pubblico dei teatri e da lavoratori dello spettacolo. Mancanza di contatto con l’altro, di conoscenza e di coscienza di sé, sgretolamento della compresenza e della tridimensionalità, l’impossibilità di assumere punti di vista diversi: questi sono i rischi che corre un mondo senza teatro e senza arti. Il teatro solleva questioni e apre a nuove percezioni, ha il potere di giocare con il tempo, di attuare un cambiamento e di produrre bellezza. Proprio queste ultime caratteristiche dell’arte sono emerse dal monologo Molto dolore per nulla, in cui Luisa Borini ha trasformato la ferita in possibilità di rinascita. Sull’importanza della relazione, un esempio è offerto da Virgilio Sieni, che durante il Festival ha tenuto un laboratorio sul gesto, che ha posto l’attenzione sul corpo, sul contatto con l’altro, sullo sviluppo di una nuova sensorialità, sull’amplificazione dell’ascolto interiore, nella ripetizione dei gesti a occhi chiusi. Proprio questo il tema della sua Danza cieca, spettacolo che ha visto in scena lo stesso accompagnato dal danzatore non vedente Giuseppe Comuniello. Sieni ha portato a riflettere sulla mancanza come presenza, come acquisizione di un’altra vista, una vista diversa, interna, un sentire più pieno che si può rivelare nel danzare senza vedere. Togliere per aggiungere, per arrivare all’essenza. Forse lì risiede la chiave della salvezza.