C.A.B.A.R.È. stava per «Calderone Artistico Burlesco Anarchico Rigorosamente Eclettico», e niente più di questo titolo sarebbe efficace per descrivere contenuto e forma dello spettacolo, a cura della Compagnia La settimana dopo.

C.A.B.A.R.È.: Una partenza rigorosamente eclettica

C.A.B.A.R.È. stava per «Calderone Artistico Burlesco Anarchico Rigorosamente Eclettico», e niente più di questo titolo sarebbe efficace per descrivere contenuto e forma dello spettacolo, a cura della Compagnia La settimana dopo. Due musicisti, una al clarinetto e uno al – termine tecnico – “chitarrino” assolvevano la funzione di temprare le atmosfere e fornire stacchi comici e burleschi. Un terzo attore nella veste – sì, ma quale – di presentatore, ad ogni intervento si cambiava d’abito comparendo ora come un’anatra/papera, ora travestito da donna, ora da bracciante russo (era un bracciante russo?), ora da uomo con la doccia – e non sotto, perché se la portava dietro –, ora da mosca/falena, infine da serio rappresentante della sua funzione. L’ultimo elemento era costituito dagli artisti propriamente detti, che si avvicendavano sul palco. Il tono era farsesco: gli attori giocavano continuamente sul fatto di far finta di sbagliare, di inciampare, di dire la battuta errata, di preparare l’entrata di un artista piuttosto che un altro, al punto che difficilmente si riusciva a discernere l’errore simulato da uno potenzialmente reale e la parola a memoria da quella improvvisata. L’opera d’arte – e qui è lecito usare l’espressione nel suo senso di lavoro d’ingegno, artigianale – si basava molto su questo mostrarsi zoppa, annaspante, incompleta. D’altronde una forma simile era specchio del contenuto: tante brevi esibizioni, ognuna ricca e dunque densa, dal carattere fugace e temporaneo.

Mario Levis del duo Duolinda (in scena il 4 novembre presso lo stesso spazio con La dama demodè) era un violinista che falliva nell’impresa di trovare il giusto archetto per il suo violino. La sua performance deviava allora sul gioco di abilità manuale: lanciava e riafferrava gli archetti, che diventavano tre, quattro, cinque, sei. A differenza delle opere dove l’artista evita il percorso prestabilito senza poi tornare a casa, alla fine Mario il violino lo suona per davvero.
Silvia Martini, altra faccia del duo, «se la canta[va] e se la suona[va]». Entrando ha cominciato a produrre ritmicamente suoni di musica trash/dubstep con le labbra e la voce, e non ha più smesso; contemporaneamente si è cimentata in un’esibizione di hula-hoop di notevole difficoltà.
Un giovane toscano, nella sua muta e bianca performance, portava sopra le mani, sopra il naso e sopra la fronte un birillo con su un orologio a pendolo, il quale scandiva i tempi morbosi e meditativi dell’esibizione. Di notevole pregio la suggestione esercitata da un momento così disteso e riflessivo in mezzo al caotico marasma della serata, arricchita dall’abilità e dall’asettica presenza scenica dell’artista.

Il circo è uno di quegli ambiti subalterni della vita teatrale che riesce maggiormente a mantenere la propria identità. Presentandosi già decostruito di per sé, grazie a un’autoironia programmatica e agli sgambetti con cui costantemente incespica, possiede una autoreferenzialità che ricorda solo per omonimia quella che sta assumendo su di sé il teatro tradizionale, attento a decostruire ogni cosa prima ancora di farla. La dimensione “epica” del circo è invece costitutiva dell’arte in sé, e non emerge in un’astratta dimensione intellettuale: è motivata invece da fini pratici. Il riso, il contatto diretto col pubblico, la scansione dei tempi comici arricchiscono piuttosto che appesantire, e concorrono a definire il nucleo della forma artistica, tanto che rimuovendoli ci ritroveremmo con qualcos’altro per le mani.

L’edizione di quest’anno del festival Battiti, alla sua decima annualità, durerà dal 2 novembre al 3 dicembre, per un totale di trenta giornate, diciotto spettacoli e quarantasei artisti. È presente anche un sottoprogramma per bambini, «Piccoli Battiti», e una serie di workshop aperti al pubblico per approfondire e praticare.


C.A.B.A.R.È.

Compagnia La settimana dopo,
ovvero Emanuele Avallone, Luca di Luca, Emanuela Belmonte
E con la partecipazioni di alcuni artisti di Battiti.

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