La violenza non è una colpa, è una condanna. Il cattivo passato torna a mordere, fa digrignare i denti e sferrare il pugno; che si tratti di parole o di gesti fa poca differenza.
Cos’è che porta un uomo a ucciderne un altro, quando non è la necessità?
Le colpe dei padri: è questa la risposta che rimane impressa nella mente dopo aver visto Famiglia, della compagnia Fort Apache, in scena dal 9 al 12 novembre al Teatro Basilica di Roma San Giovanni.
«[S]ono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione». Un padre violento, un nonno peggiore: ecco il marchio del protagonista, Alessandro (Alessandro Bernardini), destinato all’eterno ritorno di un anatema che ricicla se stesso. I suoi zii, suo fratello, reggono anch’essi sulla schiena un peso senza ragione. Lo zio celibe, il «mezzo prete» – interpretato da Piero Piccinin – è colui verso il quale è sempre lecito sfogarsi, tanto è pacato, accondiscendente, tendente ad annullarsi passivamente. I cuori dei più sensibili piangono, ma la bocca di nessuno parla; l’unica soluzione è rincarare la dose, di graffi, di grida, senza guardare indietro e senza guardarsi dentro. L’unica donna, l’unica figlia, tanto sperata dal nonno defunto, la cui voce si aggiunge solo a quella dei morti, tenta di riappacificare padre e fratello. Di tutti, infatti, il rapporto più problematico è quello del protagonista con il padre, entro cui la donna – nella voce e nel corpo di Viola Centi – si pone nel giorno del proprio matrimonio. In una danza di nacchere e tamburello si rivolge ora verso uno ora verso l’altro, come per tracciare un filo invisibile che finalmente li ricongiunga. Il padre morrà senza scuse, e il finale destina al dialogo coi morti un eventuale riappacificamento.
Di morti si parla, infatti. Vestiti di bianco, come la sposa, parlano tra loro, parlano con i vivi senza che possano sentirli, suggeriscono alle cose il loro corso. Una componente femminile saggia e costretta al silenzio, una maschile dirompente quanto insicura: sono gli spiriti dei nonni, Chiara Cavalieri e Massimiliano De Rossi.
Matteo Cateni, sulla sedia a rotelle, interpreta il nipote morto in un incidente: mai considerato dal fratello Alessandro come dal padre, fa ridere amaramente il pubblico che riflette le colpe dei personaggi. Non solo tra i morti si trova chi non esiste: vestito di nero, in felpa, inadatto e prossimo allo scomparire, l’altro figlio dimenticato, gravido di un amore inesprimibile, si rassegna a una comunicazione impossibile.
FACT – Fort Apache Cinema Teatro – è nato «nel gennaio 2014 per volontà di Valentina Esposito, autrice e regista impegnata da quasi vent’anni nella conduzione di attività teatrali dentro e fuori le carceri italiane. Il Progetto coinvolge attori professionisti ed attori ex detenuti o detenuti in misura alternativa […], che hanno intrapreso un percorso di professionalizzazione e inserimento nel sistema dello spettacolo, partecipando a diverse produzioni teatrali, televisive e cinematografiche…». In occasioni di questo tipo, in una misura spesso insondabile a un pubblico di pervenuti, il teatro assume la funzione di ripresentazione più che di rappresentazione. Chi recita è stato toccato, sfiorato o totalmente investito nella propria realtà personale da quello di cui parla, e riferirlo a un pubblico può significare parlare «a chi forse è in platea o forse non c’è più». È qui che l’evento, nutrito di realtà, si spoglia del suo elemento di messinscena per iniziare a mettere in scena, in «un semplice, tragico, commovente passaggio dalla realtà alla finzione».
Famiglia
Drammaturgia e regia Valentina Esposito
con Alessandro Bernardini, Luca Carrieri, Matteo Cateni, Chiara Cavalieri,
Viola Centi, Massimiliano De Rossi, Massimo Di Stefano, Gabriella Indolfi, Giulio Maroncelli, Piero Piccinin, Giancarlo Porcacchia, Fabio Rizzuto, Cristina Vagnoli.
costumi Mari Caselli
scenografia Andrea Grossi
luci Alessio Pascale
musiche Luca Novelli
fonico Simone Colaiacomo
foto di scena JoFenz e Ilaria Giorgi
organizzazione Giorgia Pellegrini
segreteria Ilaria Marconi
ufficio Stampa Carla Fabi e Roberta Savona