Il segreto per stare bene con sé stessi è ritrovare il proprio equilibrio interiore, decantano i guru della felicità. Ricercare il proprio centro di gravità, quello che Battiato cantava come permanente, quello che non faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente, è a volte l’obiettivo di un’intera esistenza. Eppure, nei momenti più tragici, ad esempio sul punto di morte, come accade al protagonista, ci si arrende a quello che siamo stati, a quello che abbiamo costruito. E così la morte o, meglio, la quasi morte, assume un significato diverso: forse non serve colpevolizzarsi per quel che manca, per quello che non c’è. La nostra vita è un salotto che può essere (ri)arredato, magari con un divano ad angolo. Perché si sa, gli angoli vanno di moda: parola dell’agente immobiliare protagonista di questa storia. Allora forse qualcosa da salvare, resta.
Daniele Parisi, debutta con il suo ultimo spettacolo A volte Maria, a volte la pioggia al Teatro Basilica – spazio a cui l’attore romano è profondamente legato – dal 14 al 19 novembre, nella cornice di un teatro che accoglie, con intimità, questa storia a più voci ma che, con l’eleganza naturale che contraddistingue un Attore del suo calibro, conduce da solo in questo atto unico. Parisi è sia il protagonista della storia, sia l’amico Maurizio che la compagna Maria, personaggio femminile che divide questo ruolo insieme all’utilitaria, la macchina che lo accompagnerà in questo (tragico) percorso e che, spesso, è anche l’amica con cui il protagonista condivide la maggior parte del suo tempo.
Senza maschere, ornamenti, trucchi: un solo personaggio in scena che si alterna e si sdoppia, immedesimandosi in tutte le vesti senza mai mancare il proprio punto di vista.
Un monologo che racchiude la nostalgia di un tempo passato, la necessità di esorcizzare i problemi, la sensibilità delle insicurezze, attraverso la messa in scena della vita quotidiana e delle esperienze dell’essere umano, in uno stile fresco, attuale e comico.
In scena soltanto due oggetti: una sedia rossa, che incarna Maria, l’utilitaria che richiama il colore della camicia dell’attore, l’amica-nemica di questo protagonista, e un microfono, che non è oggetto di scena ma che, con i giochi sonori della loop station, ricrea negli intervalli l’atmosfera che scandisce il racconto. Creare con la propria voce la colonna sonora del racconto, accompagnando e accompagnandosi con i suoni – ad esempio l’abilità nel ricreare la pioggia incessante che ha provocato l’incidente – segna il ritmo, quasi serrato, tra un percorso e l’altro, come se appuntasse e completasse ogni tassello aggiunto alla narrazione, battuta dopo battuta. Una drammaturgia musicale che si incastra perfettamente con i giochi linguistici.
Inizia tutto dal centro – decentrato nella campagna sperduta – raccontato con fervida immaginazione in un confronto tra due amici che discutono sull’importanza dell’avere un proprio posto nel mondo e del lungo viaggio in macchina che segna, invece, un punto di non ritorno per il protagonista: avviene qui, lungo la strada del ritorno, alla fine della cena, lo scontro fatale. La simbolica fine della prima vita.
Al confronto tra i due amici, si accavalla un’altra storia, quella più intima, una messa a fuoco sulle problematiche relazionali tra il protagonista e la sua compagna, di un’intesa mai trovata, dell’unione di due solitudini troppo distanti, come due rette parallele che viaggiano insieme ma in direzioni opposte.
In questa narrazione parallela, l’incidente in autostrada causato dalle forti piogge, sembra quasi il pretesto casuale per tracciare le somme di tutta una vita. Rendersi conto così che, alla fine, non c’è stato molto. Un pretesto per interrogarsi se quel poco può bastare. E comprendere però, con rammarico, che adesso il tempo per cambiare è un’incognita. Quindi la famiglia, gli animali, la casa, le feste di compleanno, le partite di calcetto, adesso sono situazioni comiche che si scontrano in questo tempo sospeso.
Tra i tanti temi affrontati in questo spettacolo – con estrema sincerità – dall’attore-autore, il filo conduttore risulterebbe essere l’ironizzare, nella sua complessità, sulle pratiche sociali che vengono messe in atto dall’uomo per esorcizzare i cambiamenti che, inevitabilmente, mutano il senso delle cose.
Smuovere dunque, in un intreccio temporale in cui passato, presente e futuro si accavallano, la rigidità di ciò che crediamo imprescindibile e che, una volta scontrati con il nostro essere finiti, affievolisce. Difatti, un tema sul quale si pone l’accento è proprio la morte: quando capisce che forse sta per morire – ma non morirà – anche l’ambulanza sembra essere un bel posto da abitare. E questa tematica, delineata in chiave comica, è il punto di osservazione utilizzato dall’artista per comprendere la sua incapacità di stare al mondo.
E allora il protagonista, ritorna indietro nel tempo e si ricorda delle piccole cose, della «capacità di ridere e piangere insieme» che contraddistingue la sua compagna Maria, alla quale si appella più volte, criticando con consapevolezza ciò che non funziona(va) tra di loro. Quel qualcosa che a lui manca perché incapace di esprimere le sue emozioni e che difatti evoca quando la mancanza è impossibile da colmare.
Nel richiamare a sé tutti i personaggi e tutte le storie, l’intreccio che ne deriva non è soltanto un testamento di parole – solo parole perché noi non vediamo mai in scena né Maria né Maurizio – ma una presa di coscienza sulla propria storia personale che piove tutta intera improvvisamente addosso. Una storia personale che diventa collettiva nel momento in cui la risata contagiosa che si innesca dal racconto tragicomico di Daniele Parisi, ci fa rendere conto di essere tutti figli di una stessa madre, di una stessa radice: essere continuamente in avanscoperta della vita.
A volte Maria, a volte la pioggia
Di e con Daniele Parisi