la danza delle omissioni di Alessandro Serra

“Le Lacrime della Duse”: la danza delle omissioni di Alessandro Serra

  • Bisogna essere liberi di darsi delle regole.
  • C’è qualcosa oltre la materia, l’energia, che è la materia stessa.
  • Il teatro è l’attore.

Ecco tre tra le tante verità emerse da La danza delle omissioni, spettacolo-dibattito del quarto incontro del ciclo Artigiani di una tradizione vivente del progetto Le lacrime della Duse – Il patrimonio immateriale dell’attore, ospitato dal Teatro Basilica il 28 novembre, mediato da Guido Di Palma e con protagonisti Alessandro Serra e la sua compagnia TeatroPersona.

Il dibattito con il regista è stato preceduto da una messa in scena scheletrica de La tempesta, debuttato più di un anno fa. Gli attori, in camicia bianca e pantaloni neri, davano vita al testo in uno spazio la cui sola scenografia era un quadrato disegnato a terra, delimitante il fuori e il dentro.
È possibile vivisezionare l’opera dell’autore e il suo approccio alla regia ne La tempesta – Dal testo alla scrittura di scena, recentemente uscito per Luca Sossella Editore.

Con pochi elementi mettere su Shakespeare: si va all’osso, all’essenza.
La messa in scena di Serra è filologicamente moderna, rispetta l’autore quanto il pubblico.
«Pensavo che il pubblico borghese fosse da evitare: in realtà ho scoperto che tutto il pubblico è borghese; siamo noi».
Annoiato dai festival per soli specialisti, il regista nato dalla ricerca è approdato a un teatro che possa parlare a tutti, come quello del drammaturgo elisabettiano. Adesso il testo interloquisce direttamente con chi è seduto – e se funziona gli fa sobbalzare il cuore – senza passare da ridondanti giochi retorici politicamente connotati o goffi tentativi di attualizzazione.

Le differenze si annullano, soprattutto storiche: si crede dunque nell’eternità – o comunque in un universo dove gli archetipi giocano un ruolo, non ancora uccisi da un relativismo storico senza punti fissi. Ariel è Chiara Michelini: il suo personaggio, servo di Prospero (Marco Sgrosso), esprime la sua libertà dentro la prigione che il potente demiurgo le ha fabbricato. Ingabbiata e servile, la sua corporeità è tuttavia quella più effervescente e zigzagante. Dice, contro facili utopismi: «La libertà a volte si può avere soltanto all’interno delle regole». Molti pensatori sarebbero d’accordo: Jean-Paul Sartre disse qualcosa di molto simile. Evitando lo sguardo filosofico, la suggestione si rivela portatrice anche e soprattutto di una saggezza artigianale: i maestri del teatro, sia del primo che del secondo Novecento, avevano un debole per il teatro orientale, che vincolava entro rigidi e infrangibili dettami, entro cui esprimersi. Solo dopo una lunga pratica, designata dagli studiosi con il termine «acculturazione», sarebbe stato possibile raggiungere una vera libertà espressiva. Si tratta di un’importante lezione che oggi può parlare a chi crede di poter raggiungere la libertà senza passare per nessuna forma.

L’energia alberga nel teatro, mondo di «spiriti in forma di attori», e non il contrario. «In un ascensore si misurerebbe odio quanto nelle zone del mondo in questo momento dilaniate dai conflitti.» Serra riconduce il male a un tipo di energia che pervade la Terra piuttosto che localizzarsi nelle sole manifestazioni visibili. A teatro si toccano zone di raccordo esistenziale che a volte è meglio non turbare eccessivamente: emergono ferite, oscuri vicoli chiusi e verità provenienti chissà da dove.
Ma energia può anche significare felicità, ilarità, burlesca catarsi. Ad un certo punto, nel corso dello spettacolo, si crea un curioso trio composto da Stefano, Trinculo e Caliban, ovvero Vincenzo Del Prete, Massimiliano Poli e Jared McNeill, il quale dà vita a lazzi fatti di pernacchie, salti, capriole e arricciamenti che odorano di commedia dell’arte e toccano apici di ritmo e talento. Di sicuro si ride in questa tempesta; si applaude, anche. E l’applauso è un modo che il pubblico ha di penetrare lo spettacolo: «Ma piuttosto liberatemi voi, con l’aiuto buono delle vostre mani.» La dimensione metateatrale, pensata dall’autore e non voluta dal regista, è un modo di far interagire attori e pubblico, realtà e finzione. ShakespeareProspero, ordinatore del mondo e della scena, più di una volta si rivolge direttamente a coloro con lui condivide la sala. La parola rompe la quarta parete, in una metafora della vita come teatro e del teatro come vita tipica di tutta la produzione shakespeariana, più o meno tinta di sanguinoso nichilismo – MacBeth – o disciolta in una quieta conclusione ottimistica all’insegna del perdono – Tempest.

Al centro del teatro c’è l’attore. Il postulato è stato ripetuto più volte dal regista, supportato dalle parole di Jerzy Grotowski – tra gli uomini più citati della serata, insieme a Pavel Aleksandrovič Florenskij, sacerdote e pensatore russo del primo Novecento. Senza l’attore nulla si dà in teatro, il quale è veramente povero, in senso dispregiativo, solo quando è colmato di orpelli e ciondoli che occultano la mancanza di sostanza. «Uno spettacolo si prepara in una settimana, oppure in un anno».
Acerrimo nemico del tavolino – ma mai del libro –, l’intelligenza pratica di Serra si evince dal suo modo di costruire la battuta. Insiste sul ritmo: desidera idealmente che sia sempre lo stesso, possibilmente, ad ogni replica, in virtù della forza musicale che trascende l’articolazione compiuta delle parole. È il suono che viene prima, solo dopo viene il contenuto. Sono i suoni della natura – unica legittima proprietaria dell’isola – e gli echi delle urla restituiti dalle bocche sussurranti degli attori, spiriti invisibili che vagano lungo il perimetro a terra tracciato, a essere i veri protagonisti dello spettacolo.


La danza delle omissioni, ovvero La tempesta

Di William Shakespeare
Traduzione e adattamento Alessandro Serra
Con Andrea Castellano, Vincenzo Del Prete, Massimiliano Donato, Salvo Drago, Jared McNeill, Chiara Michelini,
Maria Irene Minelli, Valerio Pietrovita, Massimiliano Poli, Marco Sgrosso, Marcello Spinetta, Bruno Stori

Regia, scene, luci, suoni, costumi Alessandro Serra
collaborazione alle luci Stefano Bardelli
collaborazione ai suoni Alessandro Saviozzi
collaborazione ai costumi Francesca Novati
Maschere Tiziano Fario
Consulenza linguistica Donata Feroldi

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