Il sesto incontro, conclusivo del ciclo Artigiani di una tradizione vivente – parte del progetto Le Lacrime della Duse, il patrimonio immateriale dell’attore – ha visto protagonista, nel pomeriggio del 4 dicembre, l’attore e regista Lino Musella, in scena a Roma al Teatro Vascello dal 28 novembre al 3 dicembre con gli spettacoli Come un animale senza nome e L’ammore nun è ammore. Il progetto, a cura della Compagnia Mauri Sturno, è in collaborazione con il professor Guido Di Palma – anche mediatore degli incontri – e con CREA-Nuovo Teatro Ateneo.
«Che cos’è per te la tradizione?»
È con questa domanda che si apre l’incontro con Lino Musella all’Università La Sapienza, che si è tenuto nell’Aula Levi del dipartimento di discipline dello spettacolo (ex Vetrerie Sciarra).
Il concetto di tradizione è il fil rouge che ha legato gli appuntamenti del ciclo Artigiani di una tradizione vivente, nei quali sei grandi personalità del teatro contemporaneo, gli artigiani di una tradizione vivente, si sono raccontate agli studenti universitari nel corso di questi mesi.
Lino Musella, descritto da Guido Di Palma come «un attore capace di non far rumore camminando sul palco», rivela come il suo rapporto con la tradizione, e in particolare con Eduardo De Filippo, lo abbia fortemente definito nella sua formazione di attore.
Si è avvicinato a Eduardo inizialmente tramite la prosa televisiva RAI, a dimostrazione di come il teatro possa servirsi, in molti casi, anche di vie traverse, quali la televisione, le VHS, e perfino lo streaming. A tal proposito, durante l’incontro viene proiettato un estratto da Tavola Tavola, Chiodo Chiodo, lavoro strettamente legato alla figura di Eduardo, e affrontato da Lino Musella – in collaborazione con Tommaso De Filippo – in un periodo difficile per il teatro, quello del lockdown dovuto alla pandemia di Covid-19: l’attore si è avvalso in questo caso dello streaming quale mezzo di comunicazione e di contatto con il suo pubblico, nei mesi in cui le sale teatrali erano vuote e silenziose.
Per Musella, la tradizione napoletana è riferita alla sua giovinezza, essendosi trasferito ben presto a Roma, città in cui è rimasto fino al 2001, e a Milano, per frequentare la Civica Scuola di Teatro “Paolo Grassi”. Ed è solo nel 2013, tramite la conoscenza con Tonino Taiuti, che torna alle sue origini, scoprendo la cosiddetta avanguardia napoletana, di cui si sente comunque figlio, e che vede protagonisti nomi celebri quali Annibale Ruccello o Leo De Berardinis.
Per Musella tradizione non significa necessariamente convenzione, intesa come il tramandare in modo sterile il bagaglio di esperienze e di tecniche passate: cita a esempio il teatro di autori come Roberto De Simone, che recupera testi del passato, donando però a questi una forte identità personale. De Simone, come altri, non è semplicemente un regista che mette in scena i classici, come potrebbe fare chiunque altro, ma è diventato egli stesso parte della tradizione, in particolare quella napoletana, per il modo in cui ha lavorato sul classico – si pensi a La Gatta Cenerentola, divenuta celebre grazie alla sua versione.
La carriera nel mondo dello spettacolo di Lino Musella non riguarda però solo il teatro, ma anche il cinema. L’attore ha evidenziato una differenza interessante tra il linguaggio recitativo teatrale e quello cinematografico: ritiene infatti che nel cinema le storie sono sempre nuove, mentre nel teatro si ripropongono, nella gran parte dei casi, testi del passato. «Il teatro è il luogo dello spirito, anzi degli spiriti», dice inizialmente Guido Di Palma, citando Jouvet. Musella raccoglie lo spunto per definire a sua volta il teatro «un dialogo con gli spiriti»: l’attore si trova infatti in una condizione che lo pone a metà tra la vita e la morte, tra sé stesso e l’Altro, essendo allo stesso tempo interprete vivo e personaggio. È questa una delle ragioni per cui, nel corso della storia, la società e in particolar modo la Chiesa hanno diffidato della figura dell’attore, condannandolo e mettendolo al bando.
Il rapporto con il pubblico è parte integrante della formazione attoriale: gli spettatori sono ogni volta diversi, e studiarne le reazioni, sera dopo sera, è una vera e propria scuola per l’interprete. Fondamentale è anche il rapporto attore-tecnico, e di frequente Lino Musella è anche tecnico dei suoi spettacoli. La sua esperienza da tecnico inizia con l’apprendistato svolto con Guglielmo Guidi:
«il teatro si impara stando a teatro», afferma Musella.
L’avvicinarsi al teatro, prima in veste di tecnico, e successivamente in quella di attore, si è rivelato necessario in quanto riempimento di un vuoto: soddisfare una passione è già di per sé colmare un vuoto. L’apprendistato da tecnico è servito da base per l’apprendimento, anche semplicemente incamerando e “rubando” – come anche altri ospiti hanno affermato nel corso degli incontri – ciò che si vede da dietro le quinte. Un ruolo, quello del tecnico, dunque utile per guardare, per osservare profondamente, senza responsabilità e confronti, essendo libero di poter stare sul palcoscenico, “abitandolo”.
E come si elabora, in relazione a questo discorso, uno spettacolo?
Come un animale senza nome, uno dei due spettacoli in scena al Teatro Vascello, con la drammaturgia di Igor Esposito, è significativo riguardo a come musica, luci e interpretazione coesistano e dialoghino in scena. Sul palco, solo un leggío, con un microfono sulla destra, al quale Lino Musella si siede per leggere diversi estratti da Poeta delle Ceneri di Pierpaolo Pasolini e, sulla sinistra, una consolle dedicata alle musiche e ai suoni di accompagnamento alla lettura. Musica elettronica tra un brano e un altro, canzoni come Mamma cantata da Beniamino Gigli, rumori d’atmosfera, e infine, la voce sintetizzata dell’autore che si spande, prima che cali il buio. Per tutta la durata dello spettacolo, riecheggiano in sala i versi pasoliniani sulle tematiche più varie, dalla parte biografica, alle inchieste sulle borgate, attraversando il testo nella sua interezza, e legandolo al lavoro squisitamente tecnico di luce, suono e rumore, in quella che lo stesso Musella definisce, durante l’incontro, non una storia, ma un percorso che l’attore stesso si crea quando va in scena.
In relazione al concetto di percorso, la scrittura scenica, per Lino Musella, è qualcosa che riguarda l’interprete e non il regista: l’attore deve avere la libertà di movimento, di vivere la scena, e non deve essere un mero strumento in mano al regista. Tra i due dovrebbe essere previsto un rapporto basato su un patto, nel quale è lasciato spazio all’attore e alla sua presenza attiva sul palcoscenico, luogo che lo ospita e che lo vede protagonista. Fa parte dell’idea di scrittura scenica anche l’improvvisazione, ed è a tal proposito che l’ospite racconta di quando ha avuto l’opportunità di lavorare seguendo un iter simile a quello seguito dagli attori della Commedia dell’Arte, disponendo di canovacci ben precisi, su cui poi improvvisare, tali da definire la situazione piuttosto che le parole di un testo fisso. Perché un vero attore, come diceva Dario Fo, «recita la situazione, non le parole».
I versi della poesia O’ culore d’e pparole (Il colore delle parole) di Eduardo De Filippo, lette estemporaneamente da Lino Musella, concludono l’incontro, chiudendo il cerchio che riporta a quella tradizione teatrale che lo ha formato e reso l’attore, il tecnico e il regista che è oggi.
Incontro con Lino Musella
Conduzione Guido Di Palma
In collaborazione con CREA- Nuovo Teatro Ateneo e Compagnia Mauri-Sturno
Aula Levi, Ex Vetrerie Sciarra – Università di Roma La Sapienza, 4 dicembre 2023