Una nave incagliata tra le guglie ghiacciate di un deserto artico apre l’ultimo, attesissimo lavoro della compagnia Peeping Tom, con la regia di Franck Chartier, in scena al Teatro Argentina dal 23 al 25 gennaio.
La scena è di forte impatto visivo e sonoro: la nebbia avvolge il palcoscenico diradandosi lentamente al suono di archi che immettono in un luogo sinistro. La fredda Deception Island si trova in un punto imprecisato del deserto antartico, dove sette persone a bordo di una nave lottano per la sopravvivenza. Il vento stride dondolando la posizione precaria della nave, mentre temporali fragorosi illuminano, a lampi, l’impianto scenografico. Gli attori entrano in scena a turno, Chey Jurado lancia il Mayday mentre si muove convulsamente in una danza-lotta con la canna da pesca. L’atmosfera è tesa: il rischio e il pericolo di sprofondare nei ghiacci porta la situazione della piccola comunità allo stremo, fino a diventare parossistica e vicina a infrangersi.
La rottura in effetti arriva e improvvisamente la finzione della scena cade: i personaggi, appena intravisti, lasciano spazio agli attori che si rivolgono direttamente al regista (alle spalle del pubblico) chiedendo di fare una pausa, lamentandosi di personaggi o di scene che non funzionano. Lo spettacolo diventa una prova in diretta tra attori e regista che comunica via microfono col palco per l’intero spettacolo. La temperatura scenica rimane però inalterata: le incomprensioni, i contrasti e le frustrazioni tra attori e regista si sono cristallizzate in un’empasse creativo e il proseguimento dello spettacolo viene discusso, commentato e ostacolato nel tentativo di aprire «nuove discussioni su ciò che vogliamo creare sul palcoscenico» oggi. «Finzione e realtà si spezzano» e il gioco del teatro prosegue a carte scoperte. Mano a mano gli attori si rivelano nella loro precaria fragilità: personale, sociale e umana.
Marie Gyselbrecht, interprete storica della compagnia, urla al regista la paura riguardo alla sua identità: «Non sono Mimi, sono Marie! Da quindici anni faccio quello che mi chiedi e ora non so più chi sono!».
Yi-Chun Liu confessa la solitudine della sua condizione: il teatro rimane a stento l’unico luogo di appartenenza che le resta. Il regista diventa un’entità demiurgica che ossessiona i performer manipolandoli fino al limite delle loro capacità, ma anche ascoltando i loro tormenti e le loro fragilità, disposto a cambiare la rotta dello spettacolo per andare incontro alle faglie intime che gli attori gli hanno messo a disposizione.
S 62° 58’, O 60°39’ è la condizione di un gruppo di performer persi nel caos dei loro labirinti interiori, mentre il pubblico diviene il guardone (Peeping Tom) di una crisi che è sì artistica, ma soprattutto di carattere esistenziale: la compagnia, interrogandosi su vent’anni di ricerca teatrale, sembra aver perso la rotta, non sa dove si trova e che soluzioni adottare per uscire dal deprimente pantano in cui si trova. Le coordinate GPS della loro collocazione sono però date (sono il titolo dello spettacolo): la possibilità di localizzare la nave alla deriva c’è, ma si può realizzare solo se qualcuno in effetti risponde alla chiamata di soccorso.
«In un costante processo di riavvolgimento e ripetizione del trauma», lo spettacolo gioca con la continua reiterazione dell’atto teatrale che, se indagato fino in fondo, nella sua dimensione più ossessiva, porta a una verità di secondo grado che scaturisce dalla condivisione della domanda, «è questo l’unico modo in cui possiamo elaborare i nostri traumi? Quale poetica vogliamo lasciare? Quale messaggio? O per una volta dovremmo smettere di creare?». Il dispositivo meta teatrale che guida l’intero spettacolo si chiude nell’epilogo con l’esibizione “provocatoria” di Romeu Runa: l’attore completamente nudo in scena istiga un dialogo con se stesso, dove la parte istintiva, irrazionale, prepotente e irrefrenabile prende il controllo dell’artista, sfondando la quarta parete e scendendo nella platea a luci accese. Il senso dell’operazione dei Peeping Tom è sotto gli occhi di tutti, esplicita, vista e rivista, convenzionale nella sua pretesa di non esserlo: lo sconforto artistico e creativo, la critica alla società dello spettacolo che ha degradato il teatro quale appendice della cultura consumistica in cui viviamo. Lo spettacolo gioca su una dimensione emotiva e impressionistica di superficie, che si ammanta di importanti e innovativi intenti politico-artistici. Ma il teatro rimane lontano, come la vita. In platea il pubblico ha risposto con un’ardente ovazione.
S 62° 58’, O 60°39’
Uno spettacolo di Peeping Tom
Ideazione e regia Franck Chartier
Creazione e interpretazione Eurudike De Beul, Marie Gyselbrecht, Chey Jurado, Lauren Langlois, Yi-Chun Liu, Sam Louwyck, Romeu Runa, Dirk Boelens con l’aiuto di Eurudike De Beul
Assistenza artistica Yi-Chun Liu, Louis-Clément da Costa
Assistente alla drammaturgia Imogen Pickels
Composizione sonora e arrangiamenti Raphaëlle Latini
Scenografia Justine Bougerol, Peeping Tom
Light design Tom Visser
Coreografia Yi-Chin Liu, Peeping Tom
Costumi Jessica Harkay, Yi-Chun Liu, Peeping Tom
Assistente tecnico artistico Thomas Michaux
Creazione tecnica e oggetti di scena Filip Timmerman
Tecnici di tounée Fili Timmerman, Clément Mchaux, Jo Heijens, Bram Geidhof
Assistente tecnico Ilias Johri
Co-realizzazione a Roma Teatro di Roma – Teatro Nazionale e Fondazione Musica per Roma Anteprima Festival Equilibro 2024