Dal 19 al 27 gennaio è andato in scena, al Teatro Vascello di Roma, Processo Galileo, imponente opera che tocca alcuni dei temi più pregnanti della nostra contemporaneità.
Ugo di San Vittore, teologo del XII secolo, diceva che la tecnologia è il modo attraverso cui l’essere umano recupera parte di quel che ha perduto a causa del peccato originale: coprirsi per il freddo, cucinare per mangiare, costruire per meglio sopravvivere. André Leroi-Gourhan, archeologo dello scorso secolo, parlava di “regressione” delle capacità umane in seguito al contatto continuo con le macchine. Ernst Jünger, combattente e scrittore, riteneva che la tecnica fosse una grande imbarcazione sopra a cui tutti ci dirigiamo verso l’abisso.
Processo Galileo osserva le pieghe che la scienza ha assunto nel mondo moderno, rivelandone le contraddizioni, i lati oscuri, le criticità. Galileo Galilei, in quanto personaggio storico, è il protagonista di una vicenda che intreccia passato, presente e futuro nel tentativo di presentare una riflessione esauriente sull’argomento.
Angela, aspirante scrittrice poco dedita alle attività domestiche e molto incline a perdersi in inconcludenti elucubrazioni cariche di odio mascherato da vittimismo, dialoga con lo scienziato, interpretato da Luca Lazzareschi, dimostrando una incapacità cronica di accettare la propria mortalità. La madre di lei si occupa, invece, dell’orto: radicata in una dimensione concreta, legata al dovere universale del “fare qualcosa”, credente, contrasta l’incapacità della figlia di accettare una vocazione religiosa. Un terzo personaggio si aggira per il palco e, di tanto in tanto, si scaglia violentemente contro Galileo, accusandolo di star costruendo un monumento al proprio ego piuttosto che un’impresa collettiva; è un anarchico, un poeta, giovane spirito sanguinario che incarna le varie opposizioni storiche al regime universalista della scienza. Ne smaschera i soprusi citandoli uno per uno fino ad arrivare ai giorni nostri, con la curiosa omissione dell’obbligo vaccinale. Altri personaggi fanno da contorno alla vicenda: la figlia di Galileo, interpretata con talento da Roberta Ricciardi, e il suo assistente, nella voce e nel corpo di Giovanni Drago, riportano regolarmente la vicenda al passato seicentesco, attraverso stralci di linguaggio desueto e modi poetici che caratterizzano le porzioni più riuscite del testo.
La messa in scena, curata dai due registi Carmelo Rifici e Andrea De Rosa, denuncia una solida professionalità. Lo spettacolo è visibilmente frutto di un lavoro complesso e stratificato. La scena, di Daniele Spanò, molto suggestiva, è composta da alcuni pannelli verticali e orizzontali, collocati nell’ampio spazio del teatro, privato delle quinte; coperti di terra, al tirare di corde che fanno scorrere carrucole, si alzano dritti e rivelano il colore oro delle loro superfici. Gli attori battono violentemente contro di esse, causando tonfi sordi. I cambi di scena, o di periodo storico, avvengono tramite scacchi auditivi: un microfono spento di colpo, una luce spenta o accesa, un oggetto che emette un suono netto. Il testo è forse l’elemento debole dello spettacolo: volendo dire molto, finisce per andare a fondo su poco. Molte scene risultano ripetitive, e da un certo punto in poi è difficile seguire un filo. Molti elementi, molte ambizioni, molte difficoltà: tentare di fornire una sorta di teoria unificatrice che demonizzi la scienza e la consideri in toto un frutto marcio dell’egoismo umano è qualcosa di difficile da digerire. Quel che rimane amputato ed escluso è l’elemento prettamente teatrale: il gioco, il contatto con il pubblico, la battuta a effetto. Nonostante questo il testo, ricco di riferimenti al mondo della scienza, ha il potenziale, se diluito, scremato, rinsecchito, di dire veramente qualcosa di importante, magari con un po’ meno ambizione.
Processo Galileo
di Angela Demattè e Fabrizio Sinisi
dramaturg Simona Gonella
regia Andrea De Rosa, Carmelo Rifici
con Luca Lazzareschi, Milvia Marigliano e con Catherine Bertoni de Laet, Giovanni Drago, Roberta Ricciardi, Isacco Venturini
regia Andrea De Rosa e Carmelo Rifici
scene Daniele Spanò
costumi Margherita Baldoni
progetto sonoro GUP Alcaro
disegno luci Pasquale Mari
assistenti alla regia Ugo Fiore, Marcello Manzella