A 77 anni dalla prima versione di Strehler, e a 122 dall’esordio moscovita con Stanislavskij, L’albergo dei poveri di Maksim Gor’kij torna grazie alla direzione di Massimo Popolizio da venerdì 9 all’Argentina, con drammaturgia di Emanuele Trevi, e altri 15 interpreti, per il Teatro di Roma e per il Piccolo Teatro di Milano.
L’albergo dei poveri è un grande dramma corale, in cui il numero elevato degli attori in scena impone, alla regia, di ricercare un ritmo che si adatti al continuo mutare delle situazioni e dei punti di vista, in un crescendo di tensione reso ancora più evidente dall’angusto spazio evocato: un rifugio di derelitti e alcolizzati dove i personaggi trascorrono i loro giorni tentando di non soccombere alla disperazione e all’inerzia della sconfitta.
Una sfida che è stata raccolta da grandi nomi della regia teatrale, come i già citati Stanislavskij e Strehler, ma anche cinematografica, per esempio da Renoir e Kurosawa.
Il mondo di oggi è diverso da quello del 1902 o anche del 1947: è cambiato il concetto stesso di “povertà” per esempio, ma l’energia drammatica, la forza visionaria, la disperata lucidità dei personaggi di Gor’kij è ancora intatta.
Popolizio se ne accorge, fa sue queste trasformazioni, restituendo l’impressione che la sua maniera di dirigere gli attori e il meccanismo teatrale nel suo complesso, siano particolarmente adeguati a scrivere un nuovo capitolo di questa storia di interpretazioni.
La prima scena si apre su uno squallido dormitorio dei bassifondi.
Gli abitanti sono ladri, prostitute, operai, un attore senza fortuna, un barone decaduto, poveracci, indigenti di varia natura. Il luogo appare da subito il simbolo di un degrado tanto economico quanto umano, morale, spirituale, dal quale alcuni tentano senza successo di emergere, schiacciati come sono dalla massa dei disperati, dei rassegnati.
L’infelicità è il minimo comun denominatore di questa collettività ripiegata su sé stessa.
Un giorno, dal nulla, arriva tra loro il vagabondo Luka, interpretato dallo stesso Massimo Popolizio, che al suo ingresso in scena suscita un coro di applausi dal pubblico.
Luka appare subico come una sorta di messia, un essere ontologicamente diverso, che mostra compassione verso i tragici inquilini, riuscendo così a calmarli, a seminare in loro la speranza, spronandoli pian piano a lasciare l’albergo, con l’obiettivo di riscattarsi e riconciliarsi infine con il mondo e con sé stessi.
Attraverso questa impalcatura, lo spettacolo pone domande di un certo peso: perché alcuni devono pagare più di altri le conseguenze delle loro azioni, e chi tiene i conti delle umane miserie?
Se la figura del Cristo viene inevitabilmente in mente, pensando a Luka, l’inerzia e l’incapacità di amare in cui sembra vegetare l’essere umano rappresentato nello spettacolo richiama la realtà dei nostri giorni, tra inutili, infiniti conflitti e sfide fondamentali, per il futuro dell’umanità, a cui si dedicano poche e spesso distorte attenzioni.
Riusciremo noi, umani disperati, poveri di spirito e di risorse, a uscire da questo albergo, che magari ci da abbastanza per sopravvivere ma sicuramente non per vivere?
Di nuovo, il richiamo al nome di Luca, l’evengelista della misericordia, del perdono, dell’amore, sembrerebbe suggerirci di sì, o almeno sembra indicare una via.
Nel frattempo, la cosa più importante è cercare di non fare la fine di Artax, sprofondando nella palude della disperazione…
L’albergo dei poveri
uno spettacolo di Massimo Popolizio
tratto dall’opera di Maksim Gor’kij
riduzione teatrale Emanuele Trevi
con Massimo Popolizio
e con Sandra Toffolatti, Raffaele Esposito, Michele Nani, Giovanni Battaglia
Aldo Ottobrino, Giampiero Cicciò, Francesco Giordano, Martin Chishimba, Silvia Pietta, Gabriele Brunelli
Diamara Ferrero, Marco Mavaracchio, Luca Carbone, Carolina Ellero, Zoe Zolferino