Quando non si riesce a continuare, non si può che ricominciare, scrive l’autrice Lucia Calamaro nelle note di regia.
Si apre con questa premessa lo spettacolo Smarrimento interpretato da Lucia Mascino, che ritorna in scena con lo stesso testo che aveva conquistato, al suo debutto, i teatri nazionali e non (approdando anche a Parigi) e che, in questa rivisitazione – potrebbe definirsi quasi una performance – si incastra perfettamente con l’atmosfera intima e delicata del Teatro Basilica.
Uno spettacolo in cui testo e parola sono inscindibili, frutto di una intensa collaborazione tra l’attrice e l’autrice, in un’accoppiata tutta al femminile.
In scena dal 25 gennaio al 4 febbraio, in quello che sembra essere il luogo ideale per accogliere i dubbi e le crisi esistenziali di una scrittrice, si indaga sulla scrittura a partire da un vuoto che le parole non riescono più a colmare.
Di parole e di idee, in realtà, ce ne sono molte.
Confuse, affastellate, simili a tanti fili che una volta intrecciati è difficile sciogliere. Idee che scappano – anche la stessa fatica ad annotarle, e quelle annotate sembrano non funzionare mai. È questo il punto di partenza dal quale nasce, quasi con urgenza, la necessità di rapportarsi con quel sé nascosto che la scrittrice non riesce più a intercettare. E così cerca di ritrovarsi attraverso altre storie, quelle dei suoi personaggi, a cui sente di assomigliare e che per timore allontana, non chiudendo mai quel cerchio – che crea un vortice di attesa verso la risoluzione: la scrittrice è ovunque ma mai dentro di sé.
Non a caso si entra in scena attraverso la recitazione del copione in fase di realizzazione che la stessa scrittrice struttura man mano che si sente stimolata: è Anna a farsi conoscere appena le luci si accendono, non la scrittrice. Forse per timore, la scrittrice tenta di nascondersi dentro e dietro questi suoi personaggi complicati.
E in questo gioco di sdoppiamenti, Lucia Mascino è al contempo sia Anna – personaggio femminile del romanzo che sta scrivendo e sia Paolo – il personaggio maschile, soggetti di un romanzo che probabilmente rimarrà incompiuto e che si realizza soltanto nel presente in cui avviene il racconto.
È la scrittura quello di cui si occupa Lucia Mascino in scena, una scrittura che è in crisi, fa fatica, e che consequenzialmente si riflette anche nella vita, nelle relazioni, nel lavoro. Ma ogni smarrimento che viene messo in scena sembra restare in superficie, a galleggiare, quasi crogiolandosi nella sua stessa impotenza. Gli smarrimenti sono troppi, non reggono il passo, forse quasi volutamente si balza da un problema all’altro lamentando la difficoltà dell’esistere in una società che ci vuole costantemente performanti. La casa, la famiglia, il lavoro, le relazioni sociali: tutto diventa attesa, il “dopo” che Anna – come la scrittrice – utilizza per liquidare la mancata presa di posizione.
La modalità che la narrazione propone è senz’altro il suo punto forte: il rapporto diretto con il pubblico in questo monologo-dialogo, definito così anche dalla stessa coppia Mascino–Calamaro – in cui nell’interpellare lo spettatore, esso ha il diritto di entrare in scena, diventando co-protagonista, è, unito al tono scanzonato, ironico, pungente a tratti, l’elemento su cui si può fare leva per comprendere la scrittura della Calamaro.
Nell’atmosfera colloquiale e intima che si crea nella casa-salotto, la scrittrice è suo agio tra la sua scrivania – piena di fogli, sceneggiature, racconti incompiuti e il divano che rappresenta sia l’esilio sia la meditazione. Non manca all’appello una libreria nel salotto della scrittrice: libri compiuti, libri mai letti, libri ordinati che ricordano quel dovere, in cui tutto appartiene a lei ma lei sembra non riconnettersi più con quel mondo. E il salotto nelle sue quattro piccole mura è attraversato freneticamente, più volte, con passi veloci come i suoi pensieri, in questo tempo che sembra stringersi sempre di più.
Ciò che colpisce è questo desiderio inconscio di purificazione manifestato soprattutto dall’utilizzo del colore bianco – colore che psicologicamente riprende le caratteristiche della purezza, libertà, pace, quasi una velata richiesta che passa anche per l’abbigliamento total white della stessa scrittrice-attrice. Ogni cosa sulla scena è illuminata ma l’artista sembra essere in black-out.
Ma c’è una – quasi – consapevolezza che contraddistingue l’artista nella sua produzione: è davvero importante portare a termine quello che in fondo non si è mai iniziato? La scrittrice cerca confronto – e conforto – dal pubblico, si chiede, retoricamente, se dare la colpa ai nervi può essere la risoluzione a tutto. Ma l’atteggiamento della scrittrice è di sfida, di abbattimento dei cliché – lei è già in scena quando il pubblico si sta accomodando scegliendo le poltrone, i suoi numerosi problemi sembrano sovrastare tutto il resto.
Il linguaggio pulito della Mascino aiuta a immedesimarsi nella nevrosi della scrittrice, complice anche il ritmo della narrazione, sempre tenuto alto grazie alla sua bravura, e questo viene confermato dagli applausi calorosi del pubblico. Resta però un lieve distacco, quasi un autocompiacimento in questo meccanismo di difesa che questa donna attua per sfuggire, forse, a ciò che le manca. E mentre Anna si è interrogata sul «Tu per chi campi?», la scrittrice forse non lo sa.
SMARRIMENTO
uno spettacolo scritto e diretto da Lucia Calamaro
per e con Lucia Mascino
scene e luci Lucio Diana
costumi Stefania Cempini
produzione Marche Teatro_Teatro di Rilevante Interesse Culturale