Paolo Sorrentino vieni devo dirti una cosa 

One-Man Show di Giuseppe Scoditti: Paolo Sorrentino vieni devo dirti una cosa (e anche urgente)

Dove vanno i sogni la mattina? Cantava Sergio Endrigo nei lontani anni Ottanta. 

È forse la domanda che servirebbe porsi dopo aver visto lo spettacolo di Giuseppe Scoditti. 

Più li insegui più van lontano. Dolcemente continua la canzone di Endrigo quasi con rassegnazione, consapevole del crudele destino dei sognatori, disincantati, in un mondo che non aspetta più. Ma chi ha un sogno – qualsiasi esso sia – deve proteggerlo, fino alla fine. E l’one-man show di Scoditti ne è, forse, un tentativo. Anche di rivalsa personale.

Nella cornice intima del Teatro Basilical’attore barese porta in scena per la prima volta a Roma – il 23 e il 24 marzo – uno dei suoi ultimi lavori di ricerca artistica. Un monologo comico che, nonostante la sua formazione teatrale, si adatta magistralmente alla formula che lo ha consacrato, da tempo, all’interno del mondo dello spettacolo. 

Sembra quasi un personaggio ossessionato dal raggiungimento del successo, quello di Giuseppe Scoditti che è sia Giuseppe persona – avendo vissuto in prima persona le vicende che racconta in scena – che Giuseppe personaggio – perché nel riportarle si sdoppia, si triplica in una serie di mondi che non appartengono soltanto a lui ma a cui attinge per accogliere lo spettatore nel racconto – utilizzando la figura di Paolo Sorrentino come espediente per esorcizzare e ironizzare sul futuro, i sogni, le possibilità, le attese di chi ancora ci crede. Un monologo in cui un’esperienza personale – quella di un rifiuto – diventa trampolino di lancio per una serie di riflessioni mosse con sagacia e pungente ironia e che il pubblico, attivamente coinvolto, coglie e restituisce con la risata. 

«Giuseppe Scoditti ha fatto un provino per un film di Paolo Sorrentino – spiega – E non è stato preso. Adesso Giuseppe vuole dire delle cose a Paolo. Tutto quello che non gli ha detto dopo quel no. Questo spettacolo nasce esclusivamente per questo motivo».

In scena, un tavolino con degli oggetti di varia natura: un Oscar, una statuetta di Maradona, dei libri, un posacenere, una Savonarola – utilizzata dallo stesso attore, a volte, per vestire i panni del regista – oggettistica che rimanda all’immaginario di Sorrentino, rappresentandone la simbologia di un personaggio archetipico e misterioso che Scoditti cerca di sviscerare e interrogare in questo monologo – senza avere mai delle risposte definite perché sul suo essere sfuggente ci ha costruito una carriera, ironizza l’attore. E dunque: chi è Paolo? Arriva a chiedersi, quasi come fosse la ricostruzione di un delitto, appellandosi a lui come se fosse una conoscenza di vecchia data. E nel tentativo di restituire l’identikit del regista partenopeo, Giuseppe Scoditti si lascia andare, confessando tutto ciò che avrebbe voluto dire se ci fosse stata la possibilità di un incontro. O di scontro.

Paolo Sorrentino vieni devo dirti una cosa nasce dal desiderio e dall’urgenza di raccontare del rapporto conflittuale con il regista, in questa dimensione di stima e rispetto che si scontra con l’odio e il rifiuto, immaginando questo incontro – al suo spettacolo, non a caso – che deumanizza il mito Paolo Sorrentino dissacrandolo a partire dai leitmotiv del suo cinema.

Come può, dunque, richiamare la sua attenzione, un giovane emergente nel mondo cinematografico se non interpellandolo a voce piena attraverso le immagini del suo stesso cinema? Per tutto lo spettacolo, viene alimentato un gioco d’intenti in cui si arriva a credere che il pluripremiato regista sia finalmente lì davanti, in platea, ad assistere a questa richiesta d’ascolto disperata. Lo spettacolo, infatti, ha due finali diversi: uno per Sorrentino che finalmente c’è – un finale quasi liberatorio e uno per Sorrentino che ancora una volta si è esentato, una finestra ancora aperta, o meglio un non-finale, in cui la speranza arde ancora.

L’espediente di questa richiesta nasce dunque da un mancato appuntamento rimasto in sospeso: da The Young Pope, la serie in cui viene rifiutato per un ruolo marginale, Scoditti sedimenta l’impianto per il suo spettacolo, costruendo una panoramica sul legame con i film di Paolo Sorrentino – con costanti rimandi metacinematografici e il suo tentativo di arrivare al regista, per una scommessa personale, con una sceneggiatura originale sulla vita di Sergio Endrigo. La sollecitazione scatta qui: non si riesce più a capire fin dove arriva la richiesta e dove inizia la critica al sistema dello spettacolo. Voler raggiungere a tutti i costi il suo mito o voler raggiungere a tutti i costi la possibilità di diventare famoso come il regista?

Una cosa è (quasi) certa: il film su Sergio Endrigo è pronto e l’attore, che assume anche le vesti di sceneggiatore per dimostrare la sua bravura, non resta impreparato.  Mostra gli spezzoni – con una menzione speciale alla recitazione alla “Sorrentino” – nel caso in cui lui dovesse essere lì. Pronto per cogliere al volo l’occasione della sua vita. Cosa hanno in comune, dunque, Sergio Endrigo – che si ritrova improvvisamente al centro dell’attenzione – Paolo Sorrentino e Giuseppe Scoditti? Forse la capacità di credere ancora nei sogni. 

Con intelligenza, dunque, esplorando i paradossi e le contraddizioni del mondo dello spettacolo, Scoditti utilizza vari linguaggi artistici che si interscambiano mantenendo alta l’attenzione la comicità della stand-up e la corporeità del teatro di prosa.


Paolo Sorrentino vieni devo dirti una cosa 

uno spettacolo di e con Giuseppe Scoditti
scritto da Giuseppe Scoditti e Gabriele Gerets Albanese
regia di Gabriele Gerets Albanese
light designer Cristian Allegrini

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