Si è svolta lunedì 15 aprile, dalle 10 alle 18, al Teatro Biblioteca Quarticciolo, una giornata di discussione e confronto tra molte delle principali realtà teatrali indipendenti romane, in presenza di alcuni esponenti del mondo istituzionale. L’evento, a cura di Ateatro e Teatro Biblioteca Quarticciolo e in collaborazione con Teatro e Critica, è stato occasione di un fiorente scambio di prospettive, sintomo di un condiviso orizzonte identitario.
La XX edizione de Le Buone Pratiche del Teatro si è svolta per la terza volta a Roma (e per la seconda al Teatro Biblioteca Quarticciolo) con l’obiettivo di dare voce alle piccole e medie realtà teatrali della capitale. Bandite dalla discussione le grandi istituzioni, ci si è concentrati sui soggetti dediti all’innovazione estetica e sociale. L’appello ai presenti è stato quello di mobilitarsi per partecipare alla mappatura degli spazi, già avviata da anni e in continuo aggiornamento. Sono stati infatti gli spazi, più che il territorio, a essere centro e fulcro dei dibattiti dell’edizione di quest’anno: spazi periferici, centrali, più o meno grandi, più o meno proficui, quasi sempre marginali. Temi come marginalità e difficoltà l’hanno fatta da protagonisti, bilanciati equamente da impegno, costanza e instancabile determinazione.
La giornata si è avviata con l’intervento del Capo Staff Assessorato alla Cultura Comune di Roma Giovanni Paris, che ha ripercorso brevemente il proprio percorso nella realtà comunale, e ribadito le difficoltà strutturali e gli impegni presi da parte del Comune, tra cui un finanziamento agli spazi inferiori ai 99 posti.
Nel corso del primo tavolo tematico si è sottolineata la rapida trasformazione del sistema teatrale italiano. Mimma Gallina (Associazione Ateatro) ha rilevato le declinazioni del concetto di ibridazione legato agli spazi multidisciplinari e multifunzionali, le aperture delle seconde sale (Brancaccino, Teatro India, Piccolo Jovinelli), il fenomeno specialmente capitolino dell’autogestione giovanile, l’“Estate romana” quale culmine dell’attività nel corso dell’anno e il ruolo centrale della danza nel panorama delle arti performative contemporanee.
Il dibattito si è via via soffermato su una questione nodale: l’indipendenza del teatro. Che cosa significa essere indipendenti? Si intende un’indipendenza artistica, cioè culturale, o economica? È libertà quella dalle istituzioni e dal mercato? È lecito cominciare a parlare di interdipendenza, vale a dire portare l’indipendenza all’interno delle istituzioni (con il loro sostegno)? L’indipendenza economica deriva soprattutto nel mancato finanziamento istituzionale, e consiste nella difficile relazione con le spese – una su tutte l’affitto – in forza della quale è spesso necessario ricorrere al volontariato.
Il do it yourself è stato negli anni un impegno programmatico per certe realtà, che oltre alla sala si sono arrangiate con autofinanziamenti tramite bar e ristoranti popolari interni al teatro, come anche lo status di “associazione” ha ricoperto un ruolo centrale. Nel corso degli anni Dieci si è poi andata affermando la capacità di fare rete e una vocazione per gli spazi – che per molti sono diventati una seconda casa –, insieme a una maggiore accessibilità per pubblico e per i giovani artisti (attraverso bandi e rassegne). È soprattutto la formazione, oggi, ad essere divenuta determinante: attraverso laboratori più o meno regolari la fa ormai da padrone in molti contesti, volti non tanto a educare al teatro, quanto a intercettare attraverso di esso un bisogno.
Giulio Stumpo, di Ateatro, ha riportato alcuni dati relativi all’occupazione dei lavoratori dello spettacolo, sottolineando un trend, tra 2019 e 2022, non di decrescita ma di crescita, nonostante la poco rincuorante media del reddito annuo al di sotto della soglia di povertà stabilità dall’ISTAT. A suo avviso il teatro romano deve guardare con ottimismo al futuro e non al passato, idea che è tornata a più riprese nel corso della giornata.
Il secondo tavolo, intitolato Che cosa significa fare cultura indipendente in una metropoli come Roma? Problemi e prospettive, ha visto la presenza di alcuni rappresentanti diretti del teatro indipendente romano.
YonasAregay, di Spin Time, ha ricordato la vocazione occupazionale dello spazio sociale in via Santa Croce in Gerusalemme, nato nel 2013 e composto da 7 piani e ospitante circa 400 persone. Ultimamente importanti compagnie hanno usufruito dell’offerta residenziale dello spazio, che richiede piccoli contributi non per forza monetari che contribuiscono a sostenere le attività socio-culturali e a stringere legami con il territorio.
Ilaria Bisozzie Mary Scicolone hanno parlato del loro Ex Mercato di Torre Spaccata, preso in gestione dal 2012 dall’Associazione Calpurnia. In seguito ad un incendio nel 2016, nel 2021 ha visto l’approdo di Macedonia Teatro, che ha risieduto in loco in cambio di piccoli servizi e contributi, come cucinare per tutti o effettuare delle restituzioni nello spazio. Il paradigma del dono appare protagonista in un panorama umano dove l’intervento istituzionale tarda ad arrivare e i singoli sono costretti a farsi forza con mezzi non sempre economici. Lo spazio è composto da biblioteca, cucina, due teatri, una palestra e un giardino. È stato posto infine l’accento sulla vocazione sociale dello spazio, che ospita ex alcolisti per lavori socialmente utili (in rapporti con il Ministero di Grazia e Giustizia) e offre attività gratuite ai residenti della difficile area circostante.
Per conto dell’Angelo Mai hanno presenziato Benedetta Boggio e Silvya De Fanti. Lo spazio, sgomberato tre volte in vent’anni di occupazione, ha criticato la vocazione per l’autopreservazione della capitale, poco incline a guardare al futuro. Si è parlato delle disfunzionalità del sistema teatrale italiano e di “indipendenza nonostante” le istituzioni, ribadendo la forte identità dello spazio, costituitosi unicamente grazie ai propri tenaci sforzi.
Alessandro Di Murro, del Teatro Basilica, ha sottolineato il percorso di uno spazio nato di recente, appartenente allo Stato della Città del Vaticano, con una solida programmazione ma sprovvisto di un lato formazione, in costante di dialogo con artisti e spazi e poco o mai con le istituzioni. Il dialogo con le istituzioni è stato solo raramente rifiutato nettamente dagli artisti: più spesso è stato cercato, e ancora si cerca, ma senza successo. A differenza di altri spazi più periferici, il Teatro Basilica non dialoga con il territorio, trovandosi in un quartiere (San Giovanni) centrale e già saturo.
Alessandro Di Somma ha gestito l’intervento a nome di Fortezza Est, realtà con sede a Tor Pignattara che, di contro rispetto alla precedente, si ritrova in un panorama disgregato e fertile di possibilità per quanto riguarda il “fare rete”, ma sprovvisto di tempo, risucchiata com’è dal lavoro interminabile richiesto quando si fa di una passione la propria vita. Lo sforzo è di rendere il teatro un lavoro, di permettere a chi si interfaccia con lo spazio di percepire un minimo di guadagno e con esso la dignità che ne consegue. Andare avanti (con bandi, speranza e disperazione) è parola d’ordine di chi “gode” dell’indipendenza economica. Il dito si punta verso le leggi, obsolete e opprimenti, che costringono a fare teatro in uno stato di semi (semi!) illegalità.
Tiziano Panici, noto per iniziative quali Dominio Pubblico e la direzione di Argot Studio (Trastevere), ha fatto notare come lo spazio, che a ottobre compie quarant’anni, sia riuscito a ritagliarsi una buona fetta di pubblico pur essendo non un teatro ma, letteralmente, la stanza di un condominio. Il momento obbligato dell’impegno civile obbliga inizialmente al volontariato, in questo tipo di realtà. Roma la definisce autarchica, in quanto si autogestisce e si auto-genera per il gap esistente tra realtà (culturale) e politica. La debolezza strutturale e sistemica non riguarda, a suo avviso, il teatro quanto la città stessa. Il dialogo con la Questura (unico possibile nel mare istituzionale) non ha impedito la chiusura di numerosi spazi. La programmazione si contrae, e Roma come “2 hours-city”(invece che 15 minutes) non aiuta il raggiungimento dei luoghi, tra mezzi pubblici inefficaci e traffico. L’appello di Tiziano è «intercettare il mutamento in corso per capire come abitare questo presente». L’ultima “critica” è quella al sistema universitario, che non contribuisce all’affinamento del gap tra teoria e realtà professionale investendo in formazione autoreferenziale. Infine, tuttavia, pregia l’«adattabilità» e il «mutamento» della realtà romana, unici in Europa.
Per Carrozzerie | n.o.t. si è espressa Maura Teofili. «[Tra gli artisti indipendenti] parlarsi è raro. […] Nonostante le difficoltà le persone sono molto ispirate, unite come da un senso di missione. […] Ci si affatica per evitare che qualcuno entri e ti dica:“La tua attività non è [legalmente] legittima”». Carrozzerie non si interfaccia in nessun modo con le istituzioni, ma questa è, ancora una volta, una scelta obbligata. Ilfinanziamento dovrebbe essere quello strumento che favorisce l’espressione e la creatività (e dunque scevro di valutazioni programmatiche), oltre alla dignità della persona. La cultura “nonostante” si fa grazie alle persone: questo ci ricorda il teatro.
Il terzo tavolo di lavoro (Altre pratiche formative), condotto da Luca Mazzone (Cresco) e Andrea Pocosgnich (Teatro e Critica), ha visto protagonista il rapporto tra pubblico e spettacolo, la sostenibilità e accessibilità degli spazi e la visione di Roma come grande laboratorio culturale.
Elvira Frosini, di Kataclisma, ha sottolineato il taglio “personalizzato” dello spazio di Roma Pigneto, nato dalle esigenze artistiche sue e di Daniele Timpano. Lo spazio nasce vent’anni fa e si è mantenuto grazie all’Assocazione/Compagnia. È connesso con la realtà locale, ha un programma di formazione per adulti e bambini di danza e teatro. Al momento ha all’attivo due progetti finanziati dal Comune e dalla Provincia, uno dei quali traccia un rapporto tra critica, artisti e pubblico, messo in condizione di dialogare tra loro. Edge Performer è, invece, un workshop di durata mensile di formazione drammaturgica.
Officina Pasolini rischia la chiusura: ne parla Pietro Giliberti.
Lo spazio nasce nel 2014 grazie a un progetto della Regione Lazio, gestito da DiscoLazio attraverso il Fondo sociale europeo. Dal 2017 è anche hub culturale: gli spettacoli sono due alla settimana, a ingresso gratuito con prenotazione. Nel 2022 la Regione Lazio ha deciso di cedere lo spazio al Ministero degli Esteri per ricavarci degli uffici, nonostante la storia di grande pregio fatta di drammaturghi e artisti di alto profilo. Lo spazio sarà costretto a spostarsi, con tutte le difficoltà del caso. Al momento le attività consistono principalmente in prove aperte, lanci e spettacoli sperimentali, viste le difficoltà economiche. È necessario sottolineare che gli spazi in causa quasi sempre non si limitano al teatro, ma ospitano anche presentazioni di CD, concerti e attività attinenti ad arti che non siano quella performativa.
Lorenzo Gioielli e Alessandro Longobardi si sono mossi sul tema della formazione, sottolineando la grande industria che oggi vive nel territorio romano. Non è consapevolezza di pochi che l’aspetto formativo spesso supera quello performativo. Con STAP – Brancaccio, Longobardi ha rovesciato uno spazio trasformandolo in sala prove, che ospita corsi di formazione in contatto con il mondo del lavoro; processo a cui le istituzioni non hanno contribuito. I piccoli spazi indipendenti (Spazio Diamante) sono sostenuti piuttosto dagli introiti degli altri spazi, delle realtà più grandi e affermate, secondo lo slogan “il centro sostiene la periferia”. È con il covid che il Direttore ha compreso l’importanza del fare rete e dello scambio, fondamentale se si vuole tenersi in piedi in una realtà che non offre appigli. È stato quindi suggerito di ripetere l’iniziativa.
Lottounico (Gaia Insegna) nasce da uno sforzo privato, tra San Giovanni e Pigneto. Si tratta di un piccolo capannone industriale ristrutturato, aperto a novembre 2021. Le attività proposte sono divise in tre fasce, e riguardano professionisti del settore, residenze artistiche, e corsi amatoriali di altre discipline, come la scrittura creativa. Lo spazio ha ottenuto due anni di finanziamento, e ha guardato soprattutto alle realtà esistenti – su tutte Carrozzerie | n.o.t. – come modello per costruire una propria identità.
L’ultimo intervento del tavolo è stato a cura di Emilia Verginelli, di Fivizzano 27. Si tratta di uno spazio privato al Pigneto nato impreparato, in forte dialogo con la formazione. Luogo di incontro e di stimolo reciproco, privo di direzione artistica, ospita corsi di yoga, danza, hip-hop, capoeira. Anche qui, il baratto la fa da padrone. La precarietà è lo stimolo maggiore in un luogo di radicale autoformazione.
I tre tavoli di tematici pomeridiani sono stati introdotti dalla visione del corto documentario Roma città chiusa di Graziano Graziani. Realizzato nell’ambito del progetto TBQgopro_Percorsi Metropolitani in fruizione nostop. Il corto smuove una riflessione sulle varie realtà teatrali non più operative nel centro della Capitale – il Rialto, il Valle Occupato, il Nuovo Cinema Palazzo, con interventi degli operatori teatrali che hanno interagito dentro quegli spazi fragili – ormai snaturati della loro identità a causa di contraddizioni politiche attualmente non risolvibili.
I problemi emersi dopo la visione smuovono delle riflessioni che portano a comprendere che siamo di fronte a una disgregazione: non si riesce più a fare rete, sono cambiati i meccanismi di scambio e cooperazione delle realtà teatrali e con il passare del tempo il centro storico, ormai decentrato, si è svuotato di vita culturale. Serve, dunque, interrogarsi su come viene investito il denaro pubblico, con una politica che utilizza i soldi della cultura per parlare di sé stessa: c’è una inversione di sistema che decentra l’attenzione sulla realtà culturale del territorio romano.
Questa discussione inaugurail focus sulla realtà teatrale universitaria – del territorio romano in particolar modo, e non. Le università ospitate – Sapienza Università di Roma, Università degli studi Roma Tre e Università degli studi Link, con annessi rappresentanti per singolo ateneo –, hanno mosso delle riflessioni a partire dalla concezione del ruolo dei teatri universitari nel sistema nazionale.
Guido Di Palma, docente di Storia del teatro presso la Sapienza Università di Roma, invita a pensare i teatri universitari in relazione alla loro funzione (in quanto teatri sociali, luoghi di aggregazione culturale) mettendo al centro della riflessione il seguente concetto: «La politica culturale di un teatro universitario deve offrire dei servizi al mondo del teatro creando un ponte fecondo tra dentro e fuori per allargare la prospettiva». Di Palma prosegue sottolineando, sostenuto dal direttore del CREA, Marco Benvenuti, che il teatro universitario è un modello pubblico e la scommessa è proporre un modello democratico che funziona su vari fronti: attività didattica di lavoro, restituzione e apertura verso chi non frequenta abitualmente il teatro. Il Teatro Palladium, gestito dall’Università Roma Tre, il cui obiettivo è investire sulla qualità a partire dagli studenti stessi che quella realtà la abitano, viene indicato come modello.
Tra la dimensione del pubblico e del privato, interviene il critico e docente dell’università privata Link, Sergio Lo Gatto, illustrando il lavoro di incontro e scambio continuo, avente sempre come obiettivo quello di ragionare sui vari modelli di teatro e sulle pratiche di inclusione a partire dalla figura dello studente.
Il teatro universitariopuò diventare – grazie al suo sistema di dialogo e di sperimentazione differente rispetto ai sistemi teatrali nazionali e privati –un luogo di confronto per gli artisti. Un luogo di sperimentazione dove poter essere liberi di sbagliare.
Dalla realtà universitaria, il focus si sposta trasversalmente sulla realtà dei festival e le loro morfologie come specchio della società, in un confronto e dibattito condotto dalla direttrice artistica di Fuori Programma Festival e Orbita Spellbound, Valentina Marini. In questo tavolo tematico si è discusso, prendendo in analisi specifici casi di studio, gli interventi e gli obiettivi dei Festival sul territorio romano.
Inaugura il ciclo di interventi Sara Ferrari, in rappresentanza per il festival BUFFALO, una finestra culturale sulla danza e la performance contemporanea. Sono state, da subito, sottolineate le varie criticità di un progetto che, nonostante nasca dentro un teatro nazionale, non ha mai trovato una vera stabilizzazione. Questo festival gioca molto sulla convenzione degli spazi museali – una delle sedi ospitanti è il MACRO, e nel corso delle sue edizioni ha posto l’attenzione sulla sperimentazione artistica tra luogo ospitante e disciplina ospitata, creando un dialogo attivo con l’artista.
Alessandra Ferraro (Attraversamenti Multipli),con il suo intervento su burocrazia e ostacoli nella realizzazione di un Festivalout-door, racconta come spesso si debba attuare una scelta politica e poetica sul lavoro del paesaggio urbano, riscontrandocostanti difficoltà nella realizzazione di un progetto ampio che lavora principalmente sulla riqualificazione del territorio urbano attraverso delle performance sperimentali. Il progetto Attraversamenti Multipli, ideato da Margine Operativo, tenta di andare oltre la dimensione puramente teatrale espandendo le sue ricerche sulla performing arts: il lavoro sugli spazi ha un diretto rapporto con il ragionamento sul sistema culturale e sull’accessibilità nel contemporaneo.
Da Attraversamenti Multipli il focus si sposta su un altro Festival multidisciplinare, Short Theatre, che dal 2006 opera sul territorio romano analizzando lo spettacolo dal vivo e le sue forme: interviene Lorenza Accardo, riportando dei dati di questa realtà indipendente che media tra istituzioni e le comunità del territorio. Vi è, secondo le parole di Lorenza Accardo, della discontinuità nella relazione con le istituzioni legate alla dimensione politica
È un festival che ha abitato diversi spazi – tra cui la Pelanda (Ex Mattatoio) –, incontrando diversi pubblici attraverso diversi formati. Questo rappresenta un elemento che ha caratterizzato la sua essenza: la sua iper-stratificazione e il suo essere mutevole nella ricerca, a partire proprio dall’abitazione dello spazio. Short Theatre compie un lavoro di ricerca che travalica la temporalità seppur oggi c’è una mobilitazione maggiore al dialogo.
La riflessione mossa è sul come funzionare in categorie in cui il pubblico è in divenire se gli spazi sono mutevoli e il progetto ha come obiettivo quello di raggiungere più generazioni: vi è il rischio di non essere valorizzato.
Roberta Nicolai (direttrice artistica) illustra, invece, nel suo intervento, una realtà di Festival storico: quella di Teatri di Vetro, che opera, da diciassette edizioni, il rapporto tra contemporaneo e spazi architettonici.
La ricerca artistica ricade sulla composizione/scomposizione degli oggetti tra curatela e artisti per restituire la processualitàcome via intermedia e di scambio, elemento che la restituzione definitiva non prevede. Il focus centrale dell’intervento è porre l’attenzione sul concetto di innovazione: è cambiare le strutture e non la forma. È necessario togliere limiti e paletti a differenza delle sovrastrutture che impediscono all’innovazione di attuarsi.
Conclude il ciclo di interventi di questo tavolo, Clara Lolletti, del Festival Multidisciplinare Dominio Pubblico – Youth Fest, raccontando dell’audience engagement e dei processi di visione e partecipazione attiva del giovane pubblico romano nel percorso formativo e di restituzione (con il Festival) attivo sul territorio romano da un decennio. In questa concezione di Festival, gestito da giovani under25, si creano una rete di contatti che si muovono, non soltanto sulla praticità – quindi realizzare un progetto culturale ampio ma permettere una visione più partecipata delle realtà artistiche sul territorio.
L’ultimo tavolo pone l’accento su un’altra realtà: spazi e opportunità nei quartieri, con interventi di Teatri in comune – Teatro Biblioteca Quarticciolo, sede ospitante, Teatro Tor Bella Monaca e Teatro del Lido di Ostia – e ACTL, condotti da Mimma Gallina (Ateatro) e Antonino Pirillo (Teatro Biblioteca Quarticciolo).
Si è discusso sulla gestione mista di pubblico/privato su una rete di teatri di periferia mettendo in gioco una progettualità sulla drammaturgia contemporanea. L’obiettivo comune dei teatri è costruire una comunità forte prendendo in analisi di dati di trasformazione della città.
Il Teatro Biblioteca Quarticciolo, rappresentato da Giorgio Andreani, ha inaugurato l’incontro con un focus sulla periferia e la trasformazione del territorio romano. Creare una rete di programmazione attuale con una gestione dello spazio, diversa e ampia su diverse progettualità, permette di far rivivere il quartiere, nella sua totalità, al pubblico romano, con una specifica attenzione sulla programmazione: dalle ricerche emerge che il quartiere si raggiunge molto di più con attività specifiche che possono, secondo il target, creare un circuito.
A questo intervento, si aggancia Il Teatro di Tor Bella Monaca in quanto modello che sperimenta uno pubblico gestito da privato. Filippo D’Alessio, direttore artistico del teatro da oltre un decennio, racconta la sua esperienza interna alla gestione di un servizio pubblico di qualità con autonomia, avendo come obiettivo fisso quello di incentrare l’immaginario di chi poi sarà il frequentatore dello spazio.
La politica culturale del Teatro TBM è precisa e bilanciata perché ha come idea un teatro che non può prescindere con il rapporto con la comunità di riferimento
Un altro modello unico di teatro – in cui la riappropriazione degli spazi con una amministrazione condivisa è il chiaro esempio di comunità attiva sul territorio – è il Teatro del Lido di Ostia. Filippo Lange, responsabile di progettazione e promozione sul territorio, riportala testimonianza della comunità civile, un’esperienza pura di partecipazione attiva e condivisa tra studenti, bambini, teatranti ed educatori, in riconoscenza dell’altro e dello spazio al fine di preservare non soltanto il teatro come struttura culturale ma la sua funzione sociale di luogo di aggregazione. Attraverso una breve mappatura della storia del Teatro, si è tracciato uno spaccato di realtà comune in cui si evince come il circuito dei TiC sia una panoramica funzionante all’interno dell’ambiente culturale romano.
Il ciclo di interventi sulle pratiche degli spazi periferici termina con l’ultima testimonianza del lavoro svolto da Veronica Olmi (Teatro Villa Pamphilj) al contempo anche in rappresentanza di ATCL (Associazione Teatri fra i comuni del Lazio), offrendo un punto di vista a metà tra istituzione e realtà teatrale italiana, in una forma estesa dei TiC. Questo intervento pone in risalto un punto chiave: non si vuole prendere atto della consapevolezza che questo modello funziona tra le comunità.
L’incontro Le Buone Pratiche del Teatro, a cura di Ateatro e Teatro Biblioteca Quarticciolo, avente come obiettivo una mappatura delle realtà oggi attive sul territorio romano – tra Festival multidisciplinari e spazi teatrali operativi – è una delle prime tappe di un percorso già avviato e attivo, di messa in discussione delle politiche culturali dello spettacolo italiano, per (ri)discutere sulla città e il territorio.
Ci si auspica che queste buone nuove pratiche possano diventare un modello operativo e adattabile in più contesti culturali. È necessario e sempre più urgente porre l’accento su cosa significa fare cultura e come allargare gli orizzonti, immaginando un teatro più vicino alle necessità e alle richieste dei cittadini: da questo incontro sono emerse delle istanze universali che presuppongono l’incontro sta istituti e istituzioni, una costante mediazione proficua.