Una giornata fatale del danzatore Gregorio Samsa

L’orizzonte negativo del danzatore Gregorio Samsa

Negli spazi del Teatro India – Teatro di Roma, Eugenio Barba accompagna Lorenzo Gleijeses in Una giornata fatale del danzatore Gregorio Samsa: un progetto contaminato dal metodo dell’Odin Teatret, nato all’interno della storica compagnia di Hostelbro quando Gleijeses era ancora un ragazzo.

L’Odin Teatret, il gruppo di teatro di ricerca più longevo del ’900, fondato da Eugenio Barba nel 1964, compie 60 anni. Per l’occasione il Teatro India-Teatro di Roma dedica un articolato progetto a questo anniversario, portando in scena anche la prima e unica regia firmata da Barba al di fuori dell’Odin Teatret: Una giornata fatale del danzatore Gregorio Samsa

Secondo Paul Virilio, urbanista e filosofo francese, la nostra epoca è dominata dalla dromoscopia, un termine che indica la “visione della velocità”, quel senso di spaesamento e di vertigine che si prova guardando il paesaggio che corre via dal finestrino di un mezzo meccanico in movimento. 

Una giornata fatale del danzatore Gregorio Samsa parte da questo concetto, da questa condizione di spaesamento dell’uomo urbano contemporaneo, indotta da nuove tecnologie capaci di far sparire i corpi, di smaterializzarli, portando a una derealizzazione dell’esperienza.

Gregorio, Lorenzo Glejeses, è un danzatore impegnato a memorizzare i passi di una coreografia, in vista di un imminente debutto. Lo vediamo prima a teatro, in una sala vuota, mentre ripete continuamente la stessa sequenza di sei movimenti, che lui trasforma nei tic di una nevrosi che affonda le sue radici nel suo passato, forse nel rapporto con il padre.

Quando danza, non si sposta troppo nello spazio, come se intorno a lui ci fossero delle pareti immaginarie che delimitano un perimetro ben più piccolo di quello della sala.
È lo spazio immaginario della sua camera, in cui è costantemente inscritto e da cui è limitato; è una sorta di campana che lo accompagna ovunque, anche quando lascia il teatro e si avvia verso casa.

Le uniche interazioni, Gregorio le ha con voci fuori campo: la madre al telefono, il padre, attraverso una registrazione lasciata in segreteria, il regista, come una luce abbagliante che lo interpella dall’alto e Infine la fidanzata, esasperata dal suo comportamento, che vuole lasciarlo, ovviamente non di persona ma al telefono.

Disperso nel suo compito artistico, il ballerino quarantenne prova e riprova fino allo sfinimento le sequenze di uno spettacolo che non andrà mai in scena: il culmine irraggiungibile di una ricerca indefessa che dura ormai da venticinque anni.

Il grande evento non arriva mai, ma è sempre a un passo dall’avverarsi, per cui Gregorio è sempre sotto debutto: attraverso il continuo allenamento insegue la perfezione.

Ora la voce del Maestro lo blocca: «Daccapo», e poi, scoraggiandolo: «Per oggi basta».

Tornato a casa dal teatro, sempre impegnato nella sua routine, ritrova il suo aspirapolvere roomba che sta pulendo in autonomia la stanza.
Si crea subito un bizzarro parallelo tra la condizione dell’oggetto e quella del ballerino: entrambi si muovono in uno spazio ristretto, vivono in una gabbia di cui possono toccare facilmente le pareti, ed entrambi hanno un repertorio limitato di movimenti.
Il danzatore è stato ridotto a oggetto, a pura tecnica, dalla sua ricerca compulsiva?

Di sicuro, attraverso la ripetizione ossessiva, patologica e compulsiva dei suoi oggetti coreografici, alla ricerca di una precisione tecnica e di una qualità interpretativa perfette, Gregorio inizia a scomparire, a smaterializzarsi.

Questo processo di smaterializzazione non colpisce solo il suo corpo, ma riguarda anche gli spazi, le persone che lo circondano, i rapporti che lo legano a queste persone.
A ogni ripetizione della sua sequenza di movimenti, una marea lenta e inesorabile erode teatro e vita quotidiana, lasciando dietro di sé un non-spazio, un limbo immateriale in cui nulla è più distinguibile.

Nel finale, vediamo Gregorio dormire nella sua stanza.
La sua stessa voce, fuori campo, ci racconta di un suo incubo ricorrente in cui non riesce a svegliarsi la mattina del suo debutto.
Subito dopo suona la sveglia e Gregorio si desta, ma, come nel racconto di Kafka, si ritrova trasformato in un altro essere: un essere incapace di raggiungere il teatro, di danzare, di debuttare nello spettacolo che per così tanto tempo aveva costituito la sua prima, e forse unica, ragione di vita.

Mentre il Padre di Gregorio bussa alla porta della stanza e il Maestro chiede informazioni, Gregorio trova la forza di liberarsi, fuggendo in una corsa disperata verso un grande sole proiettato sul fondale. Rapidamente, di lui rimane solo un ansimare affannato


Una giornata fatale del danzatore Gregorio Samsa

regia e drammaturgia Eugenio Barba, Lorenzo Gleijeses e Julia Varley
con  Lorenzo Gleijeses
musiche originali e partiture luminose Mirto Baliani
oggetti coreografici Michele Di Stefano
consulenza drammaturgica Chiara Lagani
scene  Roberto Crea
voci off Eugenio Barba, Geppy Gleijeses, Maria Alberta Navello, Julia Varley
assistente alla regia Manolo Muoio
produzione Gitiesse Artisti Riuniti in collaborazione con Odin Teatret

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