Questo è il tempo in cui attendo la grazia, di Fabio Condemi e con Gabriele Portoghese, recupera i retroscena di alcune produzioni cinematografiche pasoliniane per mostrare motivi e colori della mente di un genio; in scena al Teatro Vascello dal 14 al 19 maggio.
Una carrellata di flash tratti dalla filmografia di Pier Paolo Pasolini è la sostanza dei racconti di Gabriele Portoghese; grazie a uno schermo retrostante, una sedia, un campo d’erba allestito sul palcoscenico, alcuni libri e un piccolo cinematografo, l’attore fa rivivere i processi creativi dell’autore.
Edipo Re, Medea, Il fiore delle Mille e una notte, Appunti per un film su San Paolo, La ricotta, Sabaudia, Profezia sono i titoli scelti per segmentare la drammaturgia: a ogni scena l’ambientazione immaginifica cambia e, con l’ausilio di luci e suono, si è catapultati in un altro universo narrativo.
In Edipo re, si ascoltano le azioni di un bambino inerme di fronte ai fuochi d’artificio e ai rapporti sessuali dei genitori; in Medea siamo di fronte alla celebre scena in cui il centauro Chirone ammaestra il giovane Giasone riguardo la santità delle cose del mondo; ne Il fiore delle Mille e una notte si narra della curiosa incursione dell’autore nelle trame della diegesi narrativa; in Appunti per un film su San Paolo la Parigi occupata dal nazionalsocialismo fa da sfondo alla ricollocazione storica del messaggio evangelico; ne La ricotta si ripercorrono le quattro domande che il giornalista ruffiano pone al regista Orson Welles (che è in realtà Pasolini) sul suo «profondo, intimo, arcaico cattolicesimo»; in Sabaudia si sottolinea la genesi fascista di una città costruita a misura d’uomo, figlia di un realismo metafisico a metà tra De Chirico e il positivismo; infine, Profezia è una tragica e urgente premonizione sul mondo a venire.
Tutte le scene sono accompagnate dai filmati originali di Igor Renzetti e Fabio Condemi, che rappresentano i luoghi evocati dalla narrazione.
Il racconto strascicato di Gabriele Portoghese, sorretto dalla regia pulita e affidabile di Fabio Condemi e dalla drammaturgia dell’immagine di Fabio Cherstich, rimbalza di fatto in fatto facendosi più o meno diafano all’occorrente; non è mai invasivo se non nei momenti in cui è necessario, e senza abbandonare mai la prima persona dà vita a un Pasolini sognante e pungente, talento impareggiabile estraneo al bisogno di impegnarsi in ciò che fa.
Descrive le inquadrature, dando vita a una narrazione indiretta dello scorrere dei fotogrammi: «Esterno; giorno; grande città». Poi, lo sguardo tocca il pubblico e in un istante la relazione si recupera, l’attore ci aggancia e con due folli pupille ci porta nei disegni mentali dell’autore degli Scritti corsari, ammaliati dal suono di «grilli e rane» e da una Luna che possiamo solo immaginare. L’attore talvolta legge, talvolta corre, talvolta urla; nel finale, il cinematografo gli proietta direttamente sul petto il finale di Edipo re, e con le parole «La vita finisce dove comincia» coincide il termine dello spettacolo con quello della pellicola, prima dell’applauso conclusivo.
I due temi portanti sono tra i classici pasoliniani: un rapporto travagliato con la sessualità e la religione, e la riflessione sul potere fascista.
L’autore esprime la propria sessualità negando disperatamente qualsivoglia censura, fino al limite e senza freni – vedi Salò o le 120 giornate di Sodoma –, sempre tormentato però dallo spettro di un potere religioso da cui non riesce mai fino in fondo a sganciarsi. Sanguinario, diretto e immediato, Pasolini, nel suo essere senza compromessi, ci fa il dono di mettere a nudo le contraddizioni dell’uomo contemporaneo: schiacciato dalla modernità, che odia, è incapace tuttavia di costruirsi una seria alternativa avendo abdicato per principio alla credenza religiosa. Il compromesso sembra trovarsi nella threskeia greca – l’osservanza pratica dei precetti –, scappatoia che fa gola a chi, nella corsa forsennata verso paradigmi culturali giustificanti il presente, riesce a coniugare libertà personale e vita spirituale (che però smette di essere religiosa).
Del fascismo Pasolini coglie i tratti essenziali e, come Walter Benjamin, lo de-storicizza: il fascismo è «un gruppo di criminali al potere», che appiattisce e omologa ovunque mette mano.
Oggi è annidato in quel potere senza volto che impone al mondo gli stessi comportamenti tramite il consumo – nella forma modernizzata della tecnologia, della propaganda edonistica e di varie misure che mortificano la libertà dell’individuo, privandolo delle sue peculiarità, della sua dignità e del suo arbitrio. È la nave senza pilota (forse) che rinchiude e marginalizza chi non si adatta al dogma del progresso mentre culla sul suo ponte chiunque rinunci a porsi criticamente delle domande.
Questo è il tempo in cui attendo la grazia
da Pier Paolo Pasolini
drammaturgia e montaggio testi Fabio Condemi, Gabriele Portoghese
regia Fabio Condemi
con Gabriele Portoghese
drammaturgia dell’immagine Fabio Cherstich
filmati Igor Renzetti, Fabio Condemi
produzione
La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello
Teatro Comunale Giuseppe Verdi – Pordenone
Teatro di Roma – Teatro Nazionale