Il gioco del panino foto posate

L’enigma dietro l’ordinario: il confronto con Bennett ne Il gioco del panino 

Wilfred Paterson, dopo aver raccontato il suo dramma si congeda dissolvendosi nell’ombra.

E dal dondolio inquieto e agitato di un’altalena che non si ferma più, si lascia intendere che, nonostante tutto, il gioco della vita prosegue. Perfino quando le ombre e i segreti sono l’unica validazione dell’esistenza: cosa resta quando non rimane più nulla? Forse i sensi di colpa, i desideri, le parole dette frettolosamente da chi vuole ascoltato e non solo sentito. Ma nell’ ordinaria vita di uno spazzino di provincia accade qualcosa che turba gli animi e squarcia l’innocente visione della realtà. Il punto di non ritorno, un evento che ribalta le sorti, è restituito senza posizionamenti – non c’è giudizio né condanna – e mischiando le carte in tavola, ricomincia il gioco.

 «È l’unica parte della mia vita che mi sembra giusta… ed è quella sbagliata» pronuncia, nell’ultima scena, Arturo Cirillo nelle vesti di Wilfred, iconico personaggio della drammaturgia inglese. Al Teatro Biblioteca Quarticciolo, per l’ultimo spettacolo della stagione 2023/2024, Cirillo chiama a sé Alan Bennett in un monologo in cui emerge tutta la sua capacità di restituire, con naturalezza, la complessità di una scrittura umoristica tipicamente inglese. È senz’altro un Bennet meno comico e più riflessivo, l’opera Il gioco del panino, originariamente contenuta all’interno di una raccolta di monologhi televisivi e solo in seguito adattamento teatrale. Un lavoro di acuta osservazione, compiuto da Cirillo, per entrare in questa dimensione della marginalità declinata attraverso la storia di uomo che, universalmente, incarna la complessità umana. E l’abilità di Bennett, magistralmente restituita, consiste proprio nella costruzione di questo immaginario attraverso un racconto visivo che non lascia nulla all’interpretazione.

L’azione in scena è supportata da una scenografia ricca di elementi che ci permettono di delineare, fin da subito, il personaggio. Il carretto con gli utensili, l’altalena, un tabellone circondato da palline che proietta – con le illustrazioni di Keith Haring – l’ambientazione della scena. I vari quadri narrativi sono scanditi dalla parola dissolvenza pronunciata dallo stesso attore che (di)segna il passaggio da una scena all’altra – oscillando tra passato e presente – creando un effetto visivo, tra luce e ombra, in cui tutto è visibile agli occhi dello spettatore.

In questo gioco, dunque, ciò che avviene è una convergenza tra l’attore e il suo personaggio: Cirillo indossa gli occhi e le vesti di Wilfred attraverso i dettagli che prendono forma nel loro divenire nel racconto del quotidiano, tassello dopo tassello. 

Wilfred è un lavoratore onesto e puntuale che antecede il sacrificio a tutto il resto: è uno spazzino in un parco pubblico – parco che da sfondo della sua vita diventa palcoscenico – ha una moglie, una casa, ma è un uomo solo e incompreso. La sua routine è tutto ciò a cui si affida, non ricercando altri stimoli. Forse per timore, forse per incapacità. È nelle sue espressioni e nelle sue movenze che si comprende il segnale di un qualcosa che in lui non funziona. Difatti, a volte, si ha l’impressione che sia spettatore della sua stessa vita. Lo capiamo anche dai dettagli che si intravedono nei suoi racconti sul rapporto con la famiglia, i colleghi e la stessa moglie dalla quale non riesce ad avere figli. Si potrebbe dedurre che sia proprio questa mancata paternità a rafforzare, in Wilfred, il lato fragile e umano rendendolo maggiormente vulnerabile. Nella dimensione ludica e conviviale del parco, opposta alla sua vita familiare, si rifugia.. Rifugio che però diventa una gabbia a cielo aperto. Così Wilfred si denuda confessandosi, spogliandosi delle sovrastrutture e andando incontro alla sua condanna. 

L’abilità della coppia Bennett-Cirillo sta proprio nella modalità di rappresentazione della pedofilia senza mai enunciarla: un incontro al parco con una bambina è l’incidente scatenante di un gioco scambiato per avances..

Ma, la questione, qui forse si muove in una direzione inusuale rispetto alla tematica enunciata: cosa spinge, quest’uomo, a considerare il parco come proiezione di sé stesso? Forse, una fanciullezza mai vissuta o una crescita mai, completamente, avvenuta.. Il teatro, dunque, si offre come espediente per mostrare le dinamiche che si nascondono dietro l’azione – lo capiamo dallo sguardo inconsapevole di Wilfred quando ammette le sue colpe dal carcere, in una confessione toccante che permette di empatizzare senza giustificare.

L’effetto che ne deriva è sicuramente stordimento per la potenza di questa storia di cui, al pubblico, non resta una riflessione sul problema ma sulle conseguenze.


Il gioco del panino

di Alan Bennett
traduzione Mariagrazia Gini
interpretazione e regia Arturo Cirillo
scena Dario Gessati
costumi Stefania Cempini
luci Mauro Marasà
produzione Marche Teatro
in collaborazione con Festival Trend – nuove frontiere della scena britannica
in accordo con Arcadia & Ricono Srl per gentile concessione di United Agents LLP
le musiche sono di Benjamin Britten

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