Nel buio denso una luce lattiginosa svela la figura smarrita di una donna gracile e rugosa. Indugia sul palco, è un po’ goffa, ma bisognerà perdonarla, questo è il suo grande addio alla scena.
Tchaika è una mise en abime che si riflette in se stessa e gioca a scomporre i suoi personaggi. Lo spettacolo, liberamente ispirato a Il Gabbiano di Cechov, è andato in scena al Teatro India il 21 e 22 maggio. Nasce dall’incontro della marionettista belga-russa Natacha Belova e dall’attrice e regista cilena Tita Iacobelli, un sodalizio tra le due performer che risale al 2012 quando si sono conosciute a Santiago, in Cile, durante il festival La Rebelión de los Muñecos. La loro associazione a oggi conta quattro spettacoli tutti raccontati dalle loro marionette.
Sola in scena, Tita Iacobelli anima la sua marionetta, Tchaika, ma non si nasconde dietro di lei, appare piuttosto come sua coscienza, due versioni dell’attrice distanti nel tempo ma che coesistono nello stesso momento. Siamo di fronte al giorno del suo debutto e del suo ritiro.
La scena è scarna, sembra quasi abbandonata, il ricordo di un’epoca distante, ormai in disuso. Una poltrona e un tavolo coperti da lenzuola, uno stretto sipario bianco che cade dall’alto e poi semplici oggetti: una borsa di pelle, un velo rosa che in realtà è Nina, un orsetto di pezza che in realtà è Konstantin, un libro rosso che in realtà è Trigorin e un gabbiano di pezza che forse sono tutti loro. Ma basta questo e la voce incredibile della Iacobelli che si trasforma, animando uno ad uno tutti i personaggi del dramma cechoviano in una prova attoriale semplicemente brillante.
Uno spettacolo ironico, emozionante, un gioco surreale di voci, braccia e gambe che si uniscono e si sostituiscono l’una all’altra. Questo non è uno spettacolo di Checov ma di Tchaika, afferma a un certo punto l’attrice, perché la sua marionetta non riesce a restare nel ruolo di Arkadina che le è stato assegnato ma si trasforma in Nina, in Konstantin, in Trigorin per tornare infine ad essere quel gabbiano ferito. Sono i personaggi che si ribellano al proprio autore e tutto ruota intorno ad una sola frase ripetuta da Nina, da Arkadina e da Tchaika che li raccoglie tutti in sè: «io non sono un gabbiano, sono un’attrice». Ecco che viene svelato il gioco della finzione, perché Nina e Arkadina sono veramente attrici, attore e personaggio coesistono nello stesso momento ma si sdoppiano: corpo e marionetta, anima e involucro. L’estremo atto reazionario si ha nel finale, quando l’attrice decide di recitare quel monologo di Nina scritto da Konstantin, un testo astruso, ridondante e assolutamente decadente che dai personaggi cechoviani non viene preso sul serio. Qui, però, il decadentismo prende il sopravvento, forse più adatto ai tempi che si prospettano, forse adatto solo ad essere l’epitaffio di una carriera.
Come i personaggi de Il Gabbiano, Tchaika vola tra passato e futuro, delusione e speranza, andando avanti nonostante tutto. Parla di teatro, di smarrimento, di quel sottile limite che separa realtà e finzione, ma lo fa con ironia e spiritualità. Un viaggio introspettivo che non può che colpire allo stomaco chi guarda. Un ultimo tango per la fine di una vita e l’inizio di un’altra.
TCHAÏKA
liberamente ispirato a Il gabbiano di Anton Čechov
con Tita Iacobelli
regia Natacha Belova e Tita Iacobelli
scenografia Natacha Belova
luci Gabriela González, Christian Halkin
musica Simón González dalla canzone La pobre gaviota di Rafael Hernández
in consolle Gauthier Poirier
produzione Ifo Asbl
con il sostegno di Financiamiento del Fondo Nacional para la Cultura y las Artes, Chili, la Fédération Wallonie Bruxelles-arts de la scène – service interdisciplinaire
in coproduzione con Mars-Mons arts de la scène, Théâtre Des Martyrs à Bruxelles, Atelier Jean Vilar à Louvain-la-Neuve
in collaborazione con Cadmo associazione culturale – Le vie dei Festival
Miglior Spettacolo e Migliore Attrice, Círculo de Críticos de Arte de Chile, 2018
Premio del Pubblico come Migliore messa in scena dell’anno (premio Clap, 2018)