Quattro attori, di cui due parlanti – Mimmo Cuticchio e il figlio Giacomo – rendevano vivi i pupi in armatura; un’orchestra composta da flauto, violino, violoncello, vibrafono, sassofono baritono, arpa e percussioni accompagnava l’azione, introducendo anche lo spettacolo; una costruzione su più livelli di profondità ospitava pupi, ganci, fondali dipinti e impalcature. È l’impianto base di L’Iliade o sia il riscatto di Priamo, spettacolo a cura dell’Associazione Figli d’Arte Cuticchio, andato in scena a Castel Sant’Angelo il 27 agosto scorso.
Un attore alto circa il doppio del pupo cui, in piedi, da dietro, dà vita. Sono due i personaggi in scena, mentre la voce è una: la marionetta e il marionettista. A differenza degli altri stili di teatro di figura, infatti, il pubblico vede l’attore, il quale, sia per aiutarsi che per scelta stilistica, non solo dà voce alla macchina, ma si muove e ne interpreta egli stesso le battute. Quando il pupo di Achille piange anche Mimmo piange, quando Mimmo colpisce di spada lo fa anche il pupo di Achille. Gli spettacoli sono sempre due. Sembra che a compiere le loro azioni gli uomini siano accompagnati dalla propria anima. Talvolta l’attore che dà la voce al pupo non è lo stesso che lo muove, e allora il dramma di due o tre voci si può consumare in una sola persona: il puparo – come vorrebbe il canone della tradizione – dona le parole a tutte le marionette, ed è tiranno assoluto, amministratore unico dei finti corpi sulla scena.
Mimmo Cuticchio è dolce nel modo di intonare, feroce quando la scena lo richiede, amichevole nel rivolgersi ai bambini tra il pubblico e eclettico nel saper far vivere anime diverse. La sua lingua è il siciliano.
In una scena interpreta Ettore, Andromaca e Astianatte. Mentre il figlio Giacomo muove Ettore, lui inforca la marionetta di Andromaca e incarna la valorosità di un padre pronto per la battaglia, la supplichevole dolcezza di una donna ormai rimasta sola, e fa risuonare il buffo pianto di un bambino appena sveglio; ecco che il pubblico ride. In un’altra scena, Mimmo e Giacomo combattono all’ultimo sangue con le marionette di Achille e Ettore, e le parole si fanno grida furenti e lamenti dolorosi. Gli altri due attori, Giuseppe Graffeo e Tania Giordano, mormorano battute in sottofondo, hanno cura della scenografia, e il primo dei due muove anche alcuni personaggi.
Ci sono voluti vent’anni per costruire i quarantacinque pupi che vediamo di fronte ai nostri occhi: lo spiega Mimmo a fine spettacolo. Guido e Nino Cuticchio, suoi fratelli, ne hanno intagliato le figure, mentre lui si è occupato delle complicatissime armature. Per mancanza di fondi e arditezza del compito le cose si sono protratte nel tempo. Dagli anni Settanta Mimmo si interroga sul modo di rendere attuale il messaggio di un linguaggio artistico che si è sempre nutrito delle gesta dei cavalieri del ciclo carolingio: protagonisti degli spettacoli del padre erano gli eroi Orlando e Rinaldo. Oggi il figlio vuole parlare ai ragazzi, e il suo percorso lo ha portato a sbarcare nel porto sicuro dei poemi omerici: l’Iliade, la sua Iliade, che ha studiato per anni, è la materia prima di questo spettacolo. Dalla violazione del tempio di Apollo da parte dei troiani alla restituzione di Criseide, dalla perdita di Briseide al pianto e all’ira di Achille, dalla morte di Patroclo in battaglia all’addio di Ettore, fino allo scontro finale tra l’eroe acheo e quello troiano. Sarà la voce della pietà che, alla fine, partendo da Giove, arriverà per tramite di Priamo – da qui il nome dello spettacolo – al cuore di Achille, e sopirà gli animi infuocati da una rabbia cieca e pericolosa. Cuticchio pone l’accento sull’importanza della pietà che, come un balsamo, può far sciogliere i nodi più intricati e portare finalmente la pace.
All’inizio e alla fine dello spettacolo il puparo si priva delle sue marionette e, con una spada in mano, racconta antefatto e epilogo a un pubblico attento cui si rivolge direttamente, saltando fuori e dentro la narrazione. Di fronte a tanta violenza, viene da chiedersi quanto sia cambiato il mondo rispetto all’epoca dei poemi cavallereschi: forse poco. Ma è proprio qui il punto. Se in passato l’uomo sapeva accettare la propria condizione e tentava di porvi rimedio, oggi si ritiene che certe cose debbano non riguardarci più: «Ancora la guerra?» Eppure, l’essere umano è sempre lo stesso. La tecnica ci ha insegnato che i problemi non si possono aggirare: due delle guerre più sanguinose della storia – specialmente la seconda – ce lo hanno insegnato, durante il «secolo breve» appena trascorso. Attraverso la tecnica, ci illudiamo di andare oltre noi stessi. Eppure, non è così; tutta la nostra umanità si sedimenta solo più a fondo. Così, il pericolo è maggiore perché, piuttosto che saper ammaestrare i nostri demoni, li neghiamo; e questi possono saltare fuori da un momento all’altro, più pericolosi che mai.
L’Iliade o sia il riscatto di Priamo
Adattamento scenico e regia Mimmo Cuticchio
Musiche di Giacomo Cuticchio
con Mimmo Cuticchio, Giacomo Cuticchio, Tania Giordano, Giuseppe Graffeo