L’immersione negli ultimi tre giorni di una donna sola col suo destino
Il 22, 24 e 25 agosto è andato in scena, in tre diverse location che attraversano la Riviera d’Ulisse, il melodramma La Coppa di Diana │ Opera Contemporanea, scritto e diretto da Gaia Gentile, in collaborazione con Antonella Perazzo, che ne è anche coreografa e protagonista. Ispirato a un fatto di cronaca realmente accaduto, lo spettacolo ripercorre gli ultimi tre giorni di vita di Diana Folch de Cardona, nobildonna del XVI secolo, costretta a morire bevendo un calice avvelenato.
Dopo le date del 22 e 24 agosto, che si sono svolte rispettivamente nei suggestivi giardini di Vigna La Corte, a San Felice Circeo,e nella razionalista Piazza del Comune a Sabaudia, nella serata del 25 lo spettacolo è andato in scena nella storica Piazza Municipio, nel centro storico di Terracina, luogo in cui diverse epoche storiche si incontrano e si amalgamano. A fare da scenario naturale, il Teatro Romano della città, e gli antichi basoli della Via Appia.
Sabbioneta, XVI secolo. Diana Folch de Cardona è rinchiusa in una camera, ormai divenuta una cella. Il suo amante, un cortigiano, è stato fatto sgozzare dal condottiero Vespasiano Gonzaga, marito della protagonista, venuto a conoscenza del tradimento. Nella stanza ci sono soltanto lei e la coppa piena di veleno, lasciata dal consorte con l’intento di ucciderla. Ci vorranno tre giorni prima che la donna ceda a quest’ultima e beva, andando incontro alla morte.
Una grande coppa trasparente, riempita con del liquido rosso. Un manichino con indosso un soprabito rinascimentale. Soffi, sospiri angosciosi e singhiozzi di pianto risuonano nel silenzio. Quattro figure nere e sinistre iniziano a danzare, si evince quale sarà l’epilogo di questa storia. I movimenti morbidi seguono l’intrecciarsi dei corpi e in particolar modo delle braccia, in una coreografia che ricorda a tratti l’Apollon Musagète di George Balanchine. Entra lei, Diana, con indosso solamente una camicia bianca, e subito si adagia sull’incombente calice posto sul fondo. Fin dal primo istante è percepibile lo scorrere delle ore, di quelle ultime ore di una donna, abbandonata con i suoi pensieri, i suoi ricordi, la sua solitudine.
La regista e poeta Gaia Gentile rievoca questo personaggio storico attraverso uno spettacolo che dà vita a tutti i pensieri, i sentimenti e le emozioni di una donna rimasta sola, con l’incombere della morte sulle spalle, negli ultimi tre giorni della sua esistenza, il tutto mediato dalla danza e dal canto. Antonella Perazzo, co-regista e coreografa, interpreta il personaggio di Diana mettendo in luce, grazie all’espressività del viso e alle capacità tecniche del corpo, tutti gli stati d’animo della donna nei suoi ultimi e angosciosi giorni di vita. Ad accompagnarla, la voce della soprano Jung Min Kim, che intona in canto lirico i versi scritti dalla stessa Gaia Gentile,e il corpo di ballo, compatto e sinuoso nell’esecuzione coreografica. Le musiche, a cura di Gianluca Perazzo e Mario Perazzo, riprendono, scena dopo scena, le sonorità delle danze rinascimentali, riscontrabili nell’utilizzo di strumenti come il flauto o i cordofoni, ma con un tocco di contrastante modernità nel ritmo.
Dal punto di vista cromatico, la regia gioca in particolar modo su tre colori: il bianco, simbolo di purezza, di innocenza, il rosso, colore del sangue che sgorga, ma anche del veleno di cui è piena la coppa, e il nero, ossia l’incombente morte che sopraggiunge ora dopo ora. Colori che saranno ricorrenti nei costumi di Diana, in quelli delle sue ballerine, così come negli oggetti e nelle luci che circondano la scena e i suoi protagonisti.
Il corpo di ballo è ora personificazione del tragico destino di morte della protagonista, ora proiezione dell’interiorità di quest’ultima, come a moltiplicare la sua figura e ad esternarne al pubblico i pensieri, le emozioni, la follia. Nei variegati quadri si assiste a momenti ritmati, nei quali le ballerine indossano candide sottogonne, strizzando l’occhio alla moda dell’epoca, ma anche semplici body color carne, che lasciano i corpi liberi, come spogliandosi di tutto. Diana rimane in qualunque caso la figura centrale in scena, alternando momenti coreografici da solista ad altri in cui interagisce con il corpo di ballo, attraverso prese acrobatiche e intrecci di figure. Ricorrente è anche l’interazione con gli oggetti, come nel “passo a due” della protagonista con il manichino presente in scena ̶ figura maschile che rimanda a Vespasiano, al suo ruolo di amatore e aguzzino ̶ , o come nella scena corale in cui il corpo di ballo indossa costumi sui quali sono attaccata teste di bambole, che diventano parte integrante della coreografia: teste sgozzate, proprio come quelle dell’amante di Diana, nel ricordo di quella fugace storia d’amore che le costerà la vita.
Incatenata da queste mura, Vespasiano mio marito, qui languisco nel sepolcro, prigioniera del mio destino -Gaia Gentile
La Coppa di Diana │ Opera Contemporanea
presentato da Movin’ Beat
di Gaia Gentile
regia Gaia Gentile/Antonella Perazzo
poesia/lirica Gaia Gentile
voce soprano Jung Min Kim
danzatrice solista Antonella Perazzo
coreografia Antonella Perazzo
musica Mario Perazzo/Gianluca Perazzo
corpo di ballo Mary Christine Reyes/Caterina Cupelloni/Alessia Maracatili/Denise Fratini
scenografia Guglielmo Senepa/Marco Visone
costumi Gina Arenare
È grazie a recensioni come questa che lo spettatore meno tecnico riesce a cogliere non solo la storia, ma soprattutto le interrelazioni tra i vari aspetti scenici che solo un occhio attento e consumato riesce a cogliere