Qui som? di Baro d’Evel: il circo postmoderno

Anche quest’anno, Romaeuropa Festival ha il merito di portare nella capitale artisti e spettacoli internazionali che difficilmente scendono nel centro-sud della penisola. Nella programmazione di fine estate/inizio autunno, spicca la compagnia franco-catalana Baro d’Evel, in scena al Teatro Argentina dal 26 al 28 settembre con la nuova creazione, Qui som?. Primo capitolo di una nuova trilogia, Qui Som? è presentato, nel programma di sala, come «un rituale, un’opera di gruppo fatta di incontri con persone, pratiche circensi e sciamane». Ma non solo; le note di regia proseguono ponendo l’attenzione su un elemento quantomai sorprendente: «Un percorso in cui centrale è la ceramica, l’atto del plasmarla e crearla, esattamente come si plasma e crea un mondo». Cosa accomunerà mai la ceramica al nuovo circo?

Per rispondere non a quest’ultima domanda, ma a quella del titolo, il gruppo fondato da Camille Decourtye e Blai Mateu Trias elabora un impianto scenico e visivo complesso, la cui estetica oscilla tra l’onirico e il distopico. A prima vista, la scena sembra infatti occupata da un cumulo magmatico molle e fangoso, una montagnola tra il grigio e il marrone che, inevitabilmente, fa pensare all’argilla. Mentre il pubblico entra in sala, alcuni attori (uno alla volta) posizionano dei vasi su dei piedistalli. Finalmente lo spettacolo ha inizio, con un numero clown delizioso che prevede addirittura l’utilizzo di un tornio. In platea, si ride.

Nella scena successiva, i dodici attori scivolano sull’argilla liquida che inonda il palcoscenico, si rialzano appoggiandosi gli uni agli altri, si districano tra capriole e divaricate virtuosissime, producendosi, Decourtye in primis, in esercizi canori sopraffini. In platea, si ride ancora, con ammirazione per l’indiscussa efficienza ginnica dei performer.

Sempre d’argilla, son fatti i vasi presenti in scena, che gli attori indossano come caschi e plasmano con le dita, come maschere. Ha inizio, da qui in avanti, un susseguirsi di immagini che ambiscono ad avere – ancora dal programma di sala – «la potenza dei sogni e la forza esploratrice dell’immaginazione». Il linguaggio visivo e performativo dello spettacolo è intenzionalmente evocativo, vagheggiante; sono gli stessi Decourtye e Trias ad affermare che preferiscono «pensare allo spettacolo come a una cerimonia, a un reincanto, […] per creare spettacoli che portano lo spettatore in un labirinto interiore, in un sogno da svegli».

Per tutta la durata della replica (due ore piene), i performer (musicisti, danzatori, acrobati, attori, clown e cantanti) svolgono il loro lavoro a un grado di competenza estremamente elevato; la colonna sonora è senza dubbio potente e suggestiva; i costumi sono ben concepiti e benfatti; impeccabile e capitale è, soprattutto, il disegno luci. In scena accade praticamente di tutto. E in sala? Si tace.

Uno dei problemi spesso rilevati negli spettacoli di nuovo circo è la fragilità, l’inconsistenza della cornice drammaturgica. In accordo con la postmodernità, Baro d’Evel opta per il totale superamento della questione, scegliendo la via della “decostruzione” e del postdrammatico. Il tema essenziale sembra essere la ricerca della propria identità in un mondo in continuo cambiamento, con uno spiccato accento sull’istanza ecologista: se abbiamo plasmato noi stessi e il mondo dall’argilla, oramai ci ritroviamo naufraghi su un’isola di plastica, e il nostro affaticarci, sempre in corsa da una parte all’altra, produce l’eco di un mare in tempesta.

Lo spettacolo si conclude con un inno al movimento, alla vita, allo stare insieme, che deflagra in un’atmosfera festiva. Eppure, la “decostruzione” è la proposizione che la “libertà” si produca rompendo ogni logica e ogni coerenza delle idee, affinché ciascun individuo possa costruire e “decostruire” la sua propria realtà. L’esatto opposto di un sentire e un pensare veramente collettivo? Forse, ma in platea, tutti ballano e applaudono sedotti. L’esperienza dell’individuo trionfa.

QUI SOM?

Autori: Camille Decourtye e Blaï Mateu Trias
Con Lucia Bocanegra, Noëmie Bouissou, Camille Decourtye, Miguel Fiol, Dimitri Jourde, Chen-Wei Lee, Blaï Mateu Trias o Claudio Stellato, Yolanda Sey, Julian Sicard, Marti Soler, Maria Carolina Vieira, Guillermo Weickert.
Collaborazione alla regia: Maria Muñoz – Pep Ramis / Mal Pelo
Collaborazione alla drammaturgia: Barbara Métais-Chastanier
Scenografia e costumi: Lluc Castells
Disegno luci: Cube / María de la Cámara et Gabriel Pari
Collaborazione musicale e creazione del suono: Fanny Thollot
Collaborazione musicale e composizione: Pierre-François Dufour
Ricerca sui materiali e sui colori: Bonnefrite
Ingegnere delle percussioni in ceramica: Thomas Pachoud
Direzione tecnica: Romuald Simonneau
Ceramista: Sébastien De Groot
Direzione di scena: Mathieu Miorin e Benjamin Porcedda
Gestione delle luci: Enzo Giordana
Gestione del suono: Cholé Levoy
Dresser: Alba Viader
Cuoco: Ricardo Gaiser
Direttore generale / Promozione: Laurent Ballay
Amministratore di produzione: Caroline Mazeaud
Direttore di produzione: Pierre Compayré
Assistente amministrativo: Élie Astier

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