Roberto Baggio, di e con Davide Enia, è andato in scena il primo ottobre 2024 presso il Nuovo Teatro Ateneo della Sapienza. È il secondo spettacolo, il primo tenutosi effettivamente nel teatro, della stagione teatrale sperimentale volta a rimettere in auge una struttura dall’alto valore storico come quella della Sapienza, che ha ospitato nel secolo scorso artisti del calibro di Jerzy Grotowski, Eduardo de Filippo e Carmelo Bene. Il prossimo appuntamento è al 10 ottobre, con La tempesta continua di Claudio Puglisi, e la stagione proseguirà fino al 19 dicembre 2024.
Il prof. Guido Di Palma ha introdotto lo spettacolo con un discorso in omaggio a Glauco Mauri, instancabile artista che ci ha lasciato lo scorso mese, esattamente un anno dopo Roberto Sturno, suo fedele collega e amico. In quel periodo, entrambi gli attori erano impegnati nel progetto Le lacrime della duse. Il patrimonio immateriale dell’attore. Glauco Mauri ha concluso la sua carriera a Pesaro con il De profundis di Oscar Wilde, messo in scena proprio in onore dell’umiltà del compagno recentemente scomparso. Il professore lo ha ricordato come un uomo in cui vita, etica e teatro convivevano e si confondevano l’un altro; un uomo a cui è giusto rendere omaggio con le parole e con il ricordo.
Roberto Baggio di Davide Enia suggerisce allo spettatore, con delicatezza e umiltà, la relatività dei propri problemi, mettendolo di fronte al dramma universale della sofferenza umana.
Giunto, per ironia della sorte, su delle stampelle – e con indosso una maglietta dei CCCP di cui va molto fiero –, l’attore porta sul palco l’abilità innegabile di un artista il cui primo obiettivo è restituire qualcosa di più grande di lui, attraverso l’esperienza di altri.
Attraverso un parallelismo tra la figura del celebre calciatore e quella di un anestesista, suo omonimo, operante in zone di guerra, si costruisce un racconto denso di tragicità terrena e mistica speranza. Alle manovre precise del calciatore corrispondono quelle necessarie in un ospedale alle strette per la gravità delle condizioni dei pazienti. Un colpo sparato in mezzo agli occhi, l’osso di un amico morto sopra una mina conficcato nel torace, le condizioni indicibili di una bambina, un uomo che arriva sul posto con del materiale celebrale esposto: in mancanza dell’attrezzatura adeguata che in territorio europeo sarebbe spartita tra varie strutture, bisogna fare delle scelte. Ma nessuno viene abbandonato a se stesso: anche a chi è spacciato viene tenuta compagnia dagli infermieri, fino al momento della dipartita.
La sofferenza è ciò che tiene vive le persone.
Roberto Baggio, promessa evidentissima del calcio, da giovanissimo si distrusse completamente una gamba. La scelta era tra piangere o andare avanti: insistette, nonostante le apparenze, e diventò quello che è oggi. «Il mio dribbling migliore è stato andare avanti; nonostante tutto», disse. Anche i medici, nei primi periodi sul campo, attraversano dei battesimi del fuoco: veder arrivare una bambina morta su una barella con un colpo alla testa – Shirina –, dopo averla curata nei quattro mesi precedenti da delle gravi ustioni e averle chiesto cosa volesse fare da grande, è purtroppo uno di questi. La bambina, sforzandosi di non versare una lacrima, si era dimostrata piena di vitalità, aveva aiutato la troupe a rincuorare gli altri pazienti, e tutti si erano affezionati a lei. Che senso aveva quella morte? Era una presa in giro? I medici, dopo aver parlato per ore senza battere ciglio, non esitavano a disperarsi per una tazza di tè caduta a terra. Era un’energia colpevole che, accumulata, non lasciava scampo. Come andare avanti in uno scenario in cui qualsiasi cosa sembra priva di significati razionalmente spiegabili?
La risposta sembra essere la compassione. Quell’“altro” che ci spinge ad andare oltre i nostri limiti, per il semplice fatto che la vita è così come la vediamo e non come vorremmo.
È reso noto che sia il Roberto Baggio calciatore che il Roberto Baggio anestesista condividono un interesse per la spiritualità: il primo, in particolare, è un buddhista praticante che ama la caccia e ha la particolare passione, non proprio coerente con il resto, di collezionare anatre imbalsamate. Che sia l’Uno, «che va oltre il bene e il male», che sia Dio, che sia altro, c’è qualcosa che fa da sfondo a tutto questo. È come se, a gradi maggiori di sofferenza, vissuta e a cui si è testimoni, si aprissero fessure su nuove porzioni di verità, si schiarisse il sguardo. Sembra la parabola di Gesù Cristo, paradosso vivente su cui si è fondata inspiegabilmente un’intera storia umana.
Ai bambini soldato è richiesto di uccidere i parenti, le sorelle, i genitori, in cambio di promesse e di minacce; chi riesce a rinunciare a se stesso lo fa, gli altri vengono drogati e lo fanno comunque. È la testimonianza che l’uomo non sa compiere il male: bisogna obbligarlo. Come i soldati che nella Prima Guerra Mondiale scaricavano i fucili in aria, o quelli della Seconda che solo sotto stupefacenti riuscivano a premere grilletti gravidi di morte.
Come spiegarselo? Dice Enia, sono le domande prive di senso della vita, quelle a cui non si può mai veramente rispondere, quelle importanti. Perché? Perché assoldare dei cecchini per sparare in testa a dei bambini di un anno? Perché uccidere persone innocenti? E ancora peggio: perché io sono dalla parte giusta e non da quella sbagliata? Perché desidero questo e non quello? L’ho meritato, sono migliore degli altri? Come si fa ad amare il male?
La guerra si esercita sull’anima delle persone, non sul corpo: e nonostante tutto, sembra che questa sia in grado di resistere.
Si cambia scenario: Juventus-Brescia, ultima militanza di Roberto Baggio, nel Brescia. Si apre una via in diagonale, arriva il passaggio di Andrea Pirlo, supera il portiere ed è inspiegabilmente goal. È un momento mistico, che va oltre la realtà. È impossibile, ma solo l’impossibile accade: il possibile si limita a ripetersi.
Non scendeva in un campo da calcio, il medico, ma venne scambiato spesso per il calciatore per via del codino. Appunto da quel giorno cominciarono a chiamarlo “robertobaggio”, tutto attaccato. E nessun altro appellativo – né solo “Roberto”, né “dottore”, né “signore” – gli si affibbiò più, tanto era forte il collegamento. Un’infermiera gli disse: «Alla fine si possiedono davvero solo le cose a cui si ha rinunciato. Rinuncia al tuo orgoglio: diventa chi gli altri pensano che tu sia.» Allora l’anestesista cominciò a informarsi meglio su questa figura, arrivò a scrivergli e i due entrarono in contatto diretto. Iniziò a usarlo come una sorta di dispensatore di parabole, quasi tutto era spiegabile attraverso i suoi goal. Fu la sua medicina per il dolore derivante dalla perdita del figlio, dall’abbandono di una moglie troppo risentita per amare. I mali del cuore sono terribili, ma una certa dose di sofferenza fa comprendere che le cose più preziose non sono di questo mondo: è il dolore che proietta l’anima al di là.
Cosa dire, dunque, all’angoscia? «Vattene via, così rimango solo»? Oppure incitarla a rimanere con noi, così che possa continuare a infonderci coraggio attraverso una certezza che accomuna tutti gli esseri umani?
Roberto Baggio
di e con Davide Enia