Tendance Festival di danza: diario di bordo #9

di Monica Marone

In occasione del festival Tendance 2024, sabato 25 Maggio 2024 è stato presentato al Museo MADXI di Latina NOBODY, NOBODY, NOBODY, spettacolo danza contemporanea di Daniele Ninarello, incentrato sul tema del bullismo, dell’aggressione fisica e della solitudine. 

No-body. Nessun corpo. Già dal titolo emerge l’annullamento del corpo, e di rimando della persona, essendo il corpo l’espressione per eccellenza non solo del nostro carattere ma anche del nostro stato d’animo. 

Lo spettacolo inizia con l’artista sdraiato a terra, seminudo, che riesce ad alzarsi solo dopo alcuni minuti, rivestendosi.  

Quando finalmente si gira verso il pubblico la musica di sottofondo viene bruscamente interrotta, per far spazio ad un lungo periodo di silenzio nel quale l’artista non si muove, o meglio, trema dalla paura di muovere ogni singolo muscolo. La bravura del danzatore è emersa velocemente grazie a ciò: è stato capace di coordinare le diverse parti del corpo per far svolgere ad ognuna di loro un compito diverso, molto spesso in contemporanea, continuando a guardare fisso dinanzi a sé, senza proferire parola, mentre le sue mani e le sue gambe erano afflitte da spasmi, come se volesse muoversi ma non ci riuscisse, o avesse troppa paura nel farlo. 

Ad un certo punto cerca di parlare, ma non ne è in grado, non riesce a urlare, a denunciare, tutto ciò che vorrebbe dire. D’altra parte, anche senza proferire parola, l’artista è stato in grado non solo di trasmettere questo suo stato d’animo di impossibilità e impotenza, ma anche di far sentire agli spettatori e spettatrici le sue urla, le sue denunce.  

Già questa prima parte dello spettacolo ha portato sulla platea un’aria grave, che ha permesso ad ognuno di immedesimarsi ed empatizzare con la storia che il danzatore voleva comunicare. 

«La prima parte è molto dura per me, poiché sono circa quindici minuti di silenzio in cui io lavoro proprio sulla censura e su tutto quello che il corpo vorrebbe dire – afferma il danzatore nell’intervista successiva allo spettacolo – e in qualche modo il mio tentativo è anche quello di empatizzare, di far in modo che dal mio corpo si crei un silenzio che possa trasmettere» 

Vengono poi attuati i movimenti completi, che iniziano come una tentata reazione fisica agli abusi, per poi diventare abusi stessi. 

«Il mio tentativo è quello di attraversare con il corpo una serie di posture che transitano costantemente tra un corpo che ha vissuto un certo tipo di aggressioni e quello di chi le ha attuate» spiegherà l’artista «Il lavoro tenta di viaggiare su quel filo che si trova a metà tra vittima e carnefice, e riflettere insieme al pubblico su come quelle due nature esistano contemporaneamente in noi».  

E lo fa in modo magistrale. Per gran parte dell’esibizione vengono alternate posture e gesti di difesa con posture e gesti d’attacco, spesso messe in successione, arrivando a mescolarle tra loro fino a non rendersi più conto se è la vittima o il carnefice. La simulazione dell’urlo ora sembra un urlo d’aiuto, ora un urlo d’attacco, di rabbia riversata su altri. 

«I movimenti che avete visto non sono scritti – rivela Ninarello – c’è una drammaturgia molto chiara, ma emerge tutto dal vivo, tramite anche un processo di meditazione sullo stato del corpo, e lo spazio che si crea tra me e il pubblico è molto importante».  

Inoltre l’utilizzo della musica è a dir poco eccezionale: si alternano toni alti a toni gravi, la musica aumenta e diminuisce, come a ricreare un’onda di pensieri, che raggiungono il massimo tono al compimento dell’atto o alla resa a quest’ultimo. E anche se non è cantata, le parole fuoriescono proprio dallo spettatore, che, come un musicista durante la stesura di un brano, scrive il testo che più gli appartiene sulla base musicale. 

Ad un certo punto la musica si interrompe, lasciando campo all’artista, che prendendo la chitarra, inizia a cantare la canzone E la luna bussò di Loredana Bertè, canzone nota e proprio per questo riferibile a una più ampia gamma di persone, per quanto riguarda i temi dell’emarginazione, della solitudine e del rifiuto. «Credo che il nostro corpo abbia vissuto molti rifiuti – conferma il danzatore – e sento che sia stato dimenticato il significato dietro il testo di questa canzone, che molto spesso viene cantata in modo spensierato. In questo lavoro ho voluto creare un’occasione per far in modo che le persone potessero ascoltare effettivamente quelle parole, e vedere come risuonano dentro di noi, togliendo la spensieratezza per permettere di riflettere». E la sensazione che viene trasmessa è forte: come la Luna anche io vengo rifiutato, ricevo ‘un altro no’, vengo emarginato, escluso e non preso in considerazione. Questo è probabilmente il punto cruciale in cui il pubblico percepisce il suo sentirsi ‘Nobody’, il suo distaccamento da un corpo stanco dei rifiuti, la trascendenza del suo io dal suo corpo, e comprende al meglio la serie di posture danzate durante lo spettacolo: «Nel nostro corpo si sono incastrate delle posture, dei movimenti, dei pensieri e delle tendenze, che nascono dalla cultura dell’offesa, dell’emarginazione e della prevaricazione, e proprio per questo ho ritenuto adatto questo testo».  

Ma la parte in cui lo spettatore può entrare più in empatia, in cui può sentirsi più vicino a Ninarello è stata la parte finale. 

Dopo la canzone l’artista ha iniziato a chiamare una serie di nomi di alcune persone presenti. In quel momento l’assoluto silenzio era scalfito solamente dalla risposta dell’interpellato o interpellata, come una denuncia, un modo per dire ‘anche io, anche io ho vissuto, ho attuato, ho visto, questi atti’, una presa di consapevolezza da parte del pubblico di quello che è accaduto, e purtroppo ancora accade, un modo per mettersi a nudo, per dimostrarsi finalmente vulnerabili. «Pensate all’appello quando siamo a scuola – cerca di spiegarci Ninarello durante l’intervista – il momento in cui vieni chiamato è per me un momento in cui ogni singola persona diventa vulnerabile, per pochissimi secondi, perché si ritrova al centro dell’attenzione, chiamata per nome e cognome, perché ti svelano per un instante, e tu non sai come rispondere, poiché magari non si vuole stare al centro dell’attenzione. E poi è una chiamata all’azione, alla protesta, alla rivolta, a prender parte a una lotta».  

E forse le ultime parti danzate sono un invito alla rivoluzione: gesti d’aggressione vengono trasformati, come a comunicare che non bisogna gettar forza su un’azione tanto violenta, che ogni gesto può diventare un gesto buono, di pace, che si può cambiare e migliorare, che si può trasformare qualcosa di brutto in una storia da raccontare, anche negativa, anche come esempio da non seguire, ma che alla fine giunge ad una giusta fine, alla comprensione che la violenza non può essere un modo per relazionarsi o per comunicare, alla comprensione che davanti a noi non abbiamo carne da macello, ma persone che hanno sentimenti, che soffrono, che magari incolpano se stessi e si sento sbagliati, alla comprensione che alla fine le differenze che spesso vengono evidenziate in modo eccessivo sono soltanto nostre caratteristiche, non uno stigma, né tantomeno un qualcosa che ci rende meno come persona, anzi, queste possono solo valorizzarci 

Per concludere voglio citare Daniele Ninarello, che sia una provocazione, che sia un’incitazione, una speranza, che induca alla denuncia, sia della vittima che del carnefice, degli atti subiti o arrecati, che sia un modo per incitare e stimolare un cambiamento: «Dentro di noi abbiamo una grande forza che può determinare di smettere di subire la prevaricazione e iniziare ad attuare qualcosa di diverso, una presa di coscienza delle proprie capacità e non auto-sminuirle. Bisogna denunciare anche se non si è in prima persona coinvolti in questa situazione, ma si è solo spettatori e spettatrici, bisogna prendere una posizione, non bisogna stare zitti o devitalizzare l’azione, facendo semplicemente finta che non esista. Probabilmente chi compie questi atti non ha altri mezzi per comunicare il suo stato di malessere e insicurezza se non la violenza, e la forza di cui parlavo prima può ribellarsi anche a questo, perché sono situazioni ingiuste per entrambe le parti».  


NOBODY NOBODY NOBODY It’s Ok Not To Be Ok

Concept e Danza Daniele Ninarello
Accompagnamento alla creazione Elena Giannotti
Drammaturgia Gaia Clotilde Chernetich
Musica Daniele Ninarello
Elaborazioni sonore Saverio Lanza

Produzione Codeduomo/Compagnia Daniele Ninarello
Co-produzione Oriente Occidente

col supporto di Fondazione Piemonte dal Vivo, Lavanderia a Vapore, Centro per la Scena Contemporanea/Bassano del Grappa e Dance in Residence Brandenburg, progetto di fabrik moves Potsdam e TanzWERKSTATT Cottbus, creato con Pro Potsdam, Bürgerhaus am Schlaatz, fabrik Potsdam e the Brandenburg State Museum of Modern Art|Dieselkraftwerk Cottbus col supporto di DIEHL+RITTER/TANZPAKT RECONNECT, fondato dal Federal Government Commissioner for Culture e the Media, parte di NEUSTART KULTUR, State of Brandenburg, City of Potsdam e City of Cottbus.

Realizzato nell’ambito del progetto Media Dance-Lavanderia a Vapore. In collaborazione con Mart–Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, Atelier delle Arti Livorno

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